In Carlo Mazzacurati ironia e disperazione convivono, in molti suoi film la malavita veneta è in bilico tra tenerezza e crudeltà, i suoi protagonisti sono perdenti ed emarginati più che criminali. Massimo Carlotto, anch'esso padovano, usa invece la sua scrittura a mo' di bisturi per raccontare il lato oscuro del nord est. Lo scrittore di noir descrive in diretta la mutazione antropologica del veneto in cui corruzione e criminalità  diventano prassi sociale. Sembra ricordare l'uno e l'altro Barbara Codogno, patavina doc, che reca con se anche una cifra del tutto personale ovvero  una discreta sfumatura femminile per la sua insostenibile propensione alla scrittura adrenalinica. Nel suo ultimo romanzo pulp noir "Tutti figli della serva", Gaffi editore, pp.198, scrive "La verità, la menzogna, un lavoro onesto, una rapina, una moglie, una puttana, un politico...quale era la differenza tra le cose? Che differenza c'era? Erano tutti figli della stessa serva. I schei", il denaro, la pecunia, i schei sono il sottile ma solidissimo filo che lega tra loro l'ipocrisia borghese e la ferocia malavitosa. E sono anche la trama che lega tra loro i fatti, tra cui un omicidio, ed i numerosi personaggi che con mirabile intreccio si inseguono come in un gioco di prestigio, comparendo e scomparendo all'improvviso per riaffiorare, come un fiume carsico, alla fine della storia. Vi è Marta, la protagonista, che fugge disperata da un  matrimonio col medico ospedaliero, borghese arcaico che le assicura casa elegante e abiti firmati conditi con violenza e droga, per capitombolare nel cuore della malavita padovana grondante di sesso, ferocia e corruzione. Diventa Susy, abbandonando persino il suo nome, si libera dall'ipocrisia ma non dalla alienazione di una vita di merda che la insegue ovunque, anche nel monolocale a 400 euro al mese dove all'Arcella, dietro la stazione dei treni di Padova, si rintana senza lavoro e senza soldi. Vi sono i diversi personaggi attinti a piene mani dalla cronaca nera dei quotidiani locali, tutti con un soprannome:  Beppi, René ( un omaggio a Vallanzasca?), il Conte, Caena de Oro, lo Zingaro, il Buso, il Ministro, il Senatore. La memoria scorre veloce alla Mala del Brenta ed alla banda Maniero. Ma non ci sono criminali  piacenti nel racconto di Barbara. Sono tutti col respiro affannoso, impegnati a frequentare e sodomizzare giovanissime prostitute rigorosamente dell'est per non finire in pantofole con una moglie "vecia e rompicojoni", corroborati dal Viagra, il Rolex, vestiti firmati ed auto di grossa cilindrata.  Un mondo pieno di gente "ignorante, cattiva e senza scrupoli" in cui la protagonista, che si libera dal matrimonio di convenienza in cui si era cacciata spinta dalla umile famiglia di provenienza, come ancora spesso succede nella provincia italiana dove conta solo l'apparenza, cerca di sopravvivere. Maschi e femmine, nessuno esce bene dal confronto. L'universo maschile é feroce, si barcamena tra droga, sesso, truffe, intrighi e corruzione. Nemmeno il mediocre ed innocuo Tommaso, vecchio amante, free lance di professione, si salva. Vive spacciando erba coltivata ai bordi del vicentino lago di Fimon, in una serra ricavata nel giardino dei borghesissimi genitori, famosi architetti padovani. In quanto all'universo femminile il corpo della donna è solo materia da manipolare, sfruttare, usare per il piacere maschile. Sono tutte delle poveracce. Quelle più attempate convivono con un matrimonio ricco di solitudine e corna, le giovanissime sono bambine disperate che vendono il proprio corpo subendo ogni violenza, il tutto ovviamente per i schei.   Marta no, non si vende a buon mercato, è un diamante, lei sa anche far male. É l'opposto del politico di turno pagato dalla malavita per finanziare la campagna elettorale, piuttosto onerosa, i santini, i manifesti da affiggere un po' ovunque nel Polesine o del colonnello della finanza che sniffa la coca peruviana facendosi piste sulla sua rivista preferita " Guardia di finanza oggi". Tutti danno vita ad una banda sgangherata che alla fine salterà per il più banale dei reati, una truffa del pesce.
 Lo sfondo dell'intreccio, scolpito mirabilmente, é un paesaggio acido, "una notte buia e senza luna", un girone dantesco da cui non si esce se non stecchiti.  Un mondo dove il laborioso e mite Veneto che un tempo votava Dc ed ora lega nord e PDL, si trasforma in una realtà a tinte fosche, in un ambiente sfregiato da capannoni industriali che si succedono l'un l'altro " cubi di cemento che si incastravano tra loro in angosciose geometrie". Scrittura matura quella di Barbara che senza retorica o compiacimento, in uno scenario tanto greve, sa intravvedere il filo della poesia ed a tratti della nostalgia per la natura violentata quando parlando della zona industriale padovana scrive di pietre resistenti"il cemento aveva cancellato anche la storia di una periferia agricola, di una vera lingua di pianura che andava incontro al mare sorridendo. C'era ancora qualche irriducibile: tra una rimessa d'auto e una azienda di frigoriferi si incuneava, a volte, una vecchia casa colonica con la corte ancora piena di galline che razzolavano tra le immondizie gettate in corsa dagli automobilisti con gli occhi e i polmoni pieni del fumo di scappamento dei Tir" .  Facile intuire dunque che oltre ad essere un romanzo " Tutti figli della serva" è anche una profetica testimonianza sulla corruzione strettamente connessa ad una economia che si regge sull’intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, professionisti senza etica che operano attraverso la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale, il riciclaggio e il voto di scambio.
  Inatteso e sorprendente il finale del romanzo dove Marta risoluta, come solo chi ha paura e solo come chi vede con lucidità l'abisso sa esserlo, cerca un riscatto e lo trova nella tenebra che acceca, nella speranza che ad aspettarla vi sia la risalita verso la libertà.