Dario De Marco è tra i pochi giornalisti culturali che per ironia (oggi capitale in via di esaurimento) e competenza è in grado di coagulare nella sua scrittura temi spesso lontani tra loro: dalla letteratura alla cucina, dall’ambiente alle scienze sociali. Una peculiarità che sta in parte nelle competenze, ma che risiede principalmente nella sua scrittura che si fa porosa e permeabile, al tempo stesso fortemente riconoscibile in uno stile che prende lezione dal giornalismo anglosassone arricchito da libere divagazioni personali e autoriali. Non sorprende dunque ritrovare quella leggerezza in Storie che si biforcano (Wojtek, pp. 116, euro 14) una raccolta di racconti in forma di libro. Il che parrebbe una collocazione ovvia, ma non nel caso di Storie che si biforcano che si presentano infatti come inscindibili dalla loro forma cartacea: un vero e proprio oggetto letterario che prende ispirazione dalle parti di Borges e Cortázar.

LE STORIE possono essere lette di seguito o a salti, ma in entrambi i casi i lettori si troveranno sempre di fronte ad una possibile coerenza logica e d’impostazione data dall’autore. L’ìdea è semplice: ogni storia ha un possibile doppio con variazione, in questo modo la struttura del libro offre un doppio verso di lettura e una vera e propria segnaletica interna. Il risultato è una mappa che offre molteplici possibilità di percorso, ma tutte in un certo modo stabilite dall’autore. I racconti offrono più possibilità, più percorsi, ma tutti in qualche modo obbligati. Questa naturale possibilità che offre la forma racconto si scontra però con la forma libro che lo contiene che implica e indica comunque una priorità di lettura. Giulio Mozzi, forse tra i migliori interpreti in Italia della scrittura di racconti ha sempre indicato l’ordine dato come l’unico possibile alla lettura dei suoi libri perché anche in quell’ottica sono stati scelti e posizionati.

QUELLO DUNQUE che offre Storie che si biforcano è una riflessione non banale sull’essenza della scrittura che i racconti possono generare. Da un lato l’impossibilità di isolare una storia in senso esclusivo in un solo testo e dall’altro la possibilità che infinite storie vengano a ricomporsi non solo in più racconti, ma anche all’interno dello stesso. Qualcosa che rende più simile questa raccolta di racconti ad un romanzo che vive di incroci continui tra il possibile e l’impossibile, tra il presente, il passato e il futuro. Un libro che ragiona sul tempo e sulle sue possibilità, ma anche e soprattutto sulle nostre capacità di leggerlo e interpretarlo: di dare forma ai nostri desideri e a alle nostre avventure senza mai dimenticare che di volta in volta possono repentinamente mutare in disavventure e delusioni.

L’AUTORE da narratore inattendibile diviene inoltre spettatore attivo delle scelte del lettore, vero e proprio interprete dei suoi pensieri e delle sue inquietudini. Storie che si biforcano diviene infatti perfettamente circolare nel momento in cui il lettore lo affronta, solo allora il libro assume la sua forma completa. Un libro – per citare la famosa definizione di Aldo Moro – parallelo e convergente.