A dettare l’evolvere della crisi del Golfo è oggi, sempre più palesemente, l’egemonia energetica nella regione, stampella di quella politica.

Tanto pressante la guerra petrolifera da definire reti di alleanze schizofreniche, in particolare una: la triangolazione Washington-Doha-Teheran con il Qatar che discute con i due nemici per garantirsi un’uscita indolore dall’isolamento.

La misura del nuovo corso statunitense l’ha data martedì il segretario di Stato Usa Tillerson, volato a Doha e ripartito 24 ore dopo con in tasca un accordo con l’emirato per la lotta al terrorismo e al suo finanziamento: un memorandum d’intesa che si accompagna alle dichiarazioni del diplomatico Usa che ha definito «ragionevole» la posizione del Qatar.

Un atto simbolico dirompente nei confronti sia della stessa amministrazione statunitense (perché sconfessa le iniziali posizioni di Trump, che rivendicava l’embargo saudita al Qatar) che del fronte sunnita guidato da Riyadh («sfiduciato» dal nuovo ruolo di mediatore che Tillerson si è ritagliato).

Ieri il segretario di Stato è atterrato a Gedda per incontrare i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi e Egitto che gli hanno ribadito come l’accordo appena siglato sia per loro comunque «insufficiente» e come «del Qatar non ci possa fidare».

La visita è volta a raffreddare gli animi e uscire con classe da una rottura che non facilita i piani americani né in campo strategico (la guerra all’Iran) né energetico. Tillerson, ex presidente di Exxon – il gigante che insieme a Total e Shell sosterrà il piano qatariota di aumento del 30% della produzione di gas liquido – sa bene quanti investimenti il Qatar abbia negli Stati Uniti e quanti ne abbia promessi. Solo l’ultmo piano prevede l’investimento di 45 miliardi di dollari in fondi sovrani Usa entro il 2021, oro in termini di occupazione per un’amministrazione il cui slogan è America first.

Rompere con Doha è impossibile, anche se l’emirato guarda all’arcinemico Teheran. Le ultime settimane hanno palesato i rapporti cordiali tra le due capitali con la Repubblica Islamica che ha da subito offerto il proprio spazio aereo ai voli qatarioti banditi dal resto del Golfo e l’invio di alimenti bloccati dall’embargo terrestre.

E nonostante tra le famose 13 richieste saudite per sospendere l’isolamento ci sia la cacciata dell’ambasciata iraniana a Doha, l’emirato prosegue per la sua strada: il ministro degli Esteri Mohammed bin Abdulrahman al Thani ha riportato alla stampa del comune interesse qatariota e iraniano a rafforzare la cooperazione, a cominciare dallo sviluppo del giacimento sottomarino di gas South Pars.

Guarda caso, pochi giorni fa, la Total si è assicurata il controllo di oltre il 50% del giacimento iraniano per un investimento di circa 2,4 miliardi di dollari. E la stessa compagnia ha formalizzato ieri – riporta Agenzia Nova – una partnership di 25 anni per il giacimento sottomarino di petrolio di Al Shaheen.

Sempre di ieri è la notizia di un accordo tra Iran e Oman per il rafforzamento delle relazioni diplomatiche, annunciato a seguito di un incontro tra il presidente iraniano Rouhani e il ministro degli Esteri dell’Oman Bin Alawi, anche quest’ultimo esponente della via negoziale per uscire dalla crisi qatariota.

Riyadh sarà forse costretta a rivedere i propri piani egemonici nella regione, se sarà privata dell’indefesso appoggio statunitense e di quello delle compagnie petrolifere mondiali che vanno dove va il business.