«Quel che accadde in Napoli, all’entrata delle truppe sanfedistiche del Ruffo, per effetto dello sfrenamento della plebe è noto non solamente dai racconti compendiosi degli storici e dalle annotazioni dei cronisti, ma anche dai ricordi di alcuni di coloro che ne furono spettatori e vittime insieme». Così scrive Benedetto Croce nella prefazione all’inedito manoscritto di Giuseppe De Lorenzo, un milite della Guardia civica della Repubblica napoletana, che egli cura e dà alle stampe nel 1899, nel centenario della Rivoluzione, col titolo Nel furore della reazione.

Ricorda De Lorenzo che: «Il dì 12 giugno 1799 i briganti erano già alle porte di Napoli, ed il dì 13 giorno di giovedì, a vista, e s’inoltrarono fino al forte di Vigliena; i bastimenti inglesi che, durante tutto il tempo della repubblica, avevan tenuto bloccato il porto, in questa giornata si introdussero nella rada e attaccarono i forti».

Croce ci avverte della nessuna ambizione letteraria delle pagine del memorialista, ma ci indica una dote del De Lorenzo: le cose che vede è in grado di «rifletterle come in un limpidissimo specchio». E aggiunge: «specchio, che è per altro un’anima, la quale attira la simpatia del lettore per le virtù che la reggono della rettitudine e della prudenza» tanto da confessare, Croce, che da nessun’altra «scrittura ho ricevuto una così nitida visione di quelle terribili giornate del giugno ’99». Anche Alberto Consiglio, che curerà una ristampa (Organizzazione Editoriale Tipografica, Roma) di Nel furore della reazione, sottolinea il pregio della stringata cronaca «che ritrae con esattezza quasi fotografica gli avvenimenti di uno dei periodi più tragici della storia italiana».

Intendo sottoporre al lettore di questa nota alcuni brani di De Lorenzo che vorrei, se così posso esprimermi, fossero ‘guardati’ come si guardano altrettante fotografie. Atroci immagini senza note in calce, bastevoli di per sé ad indurre ad una meditazione sull’animo umano. Tralascio dunque di riassumere la vicenda personale di De Lorenzo e mi limito a riprodurre nelle sue parole le scene che il suo occhio ha fissato.

Via Monteoliveto. «Camminando per qualche tratto senza avere ancora deliberato ove dirigerci, incontrammo stuoli di briganti e lazzaroni armati, intenti tutti ad uno spietato saccheggio di quelle case, le quali per esser ben messe si giudicava dal popolo appartenere ai giacobini patrioti, e forse erano le persone più indifferenti, ma che trovavansi però ben vestite, ed erano condotti in arresto da’ lazzaroni, dopo esser stati intieramente denudati e feriti in modo da non riconoscersene il viso; cadaveri sparsi qua e là, la maggior parte dei quali mutilati di qualche membro; donne, matrone, zitelle e di ogni stato, portate dal popolo all’ignudo in processione, e ciò per appartener le medesime alla famiglia di qualche giacobino; teste e membra mutilate, seminate per gli angoli delle strade».

Largo Mercatello (oggi Piazza Dante). «Nel tempo stesso la carneficina la più crudele ci si esercitava, che fummo obbligati, nostro malgrado, di osservare di passaggio coi propri occhi. Un gran numero di vittime volute giacobini vi arrivava da un momento all’altro, e tutti uno dopo l’altro venivano fucilati a piè dell’albero (della Libertà). L’aria rimbombava delle grida degl’infelici, che a similitudine di bovi erano condotti al macello, le quali cessavano nel momento istesso in cui una copia di mal dirette fucilate ne interrompevano il seguito, e lasciavano di quei miserabili, chi morto, chi semivivo e chi con un sol braccio o membro fracassato. Ciò fatto, non curando i manigoldi di ucciderli, o di farli interamente spirare, passavano a tagliar loro le teste, porzioni delle quali erano menate in processione in cima di lunghe aste ed altre servivano loro di divertimento, rotolandole per terra a guisa di palle».

Trinità Maggiore. «Eranvi al largo della medesima stuoli di gente armata che mangiavano su’ cadaveri». Ponte della Maddalena. «Vidi inoltre due carrette fisse destinate a ricevere i cadaveri, la maggior parte dei quali, semivivi erano immediatamente gettati a mare».