Basta affacciarsi dietro l’insegna luminosa che celebra l’arrivo di Cristiano Ronaldo, occupando la totalità del discorso calcistico, impregnato di parole come rilancio e riscossa, che si apre un paesaggio spettrale. In questa torrida estate sono scomparse Bari, Cesena, Reggiana, Fidelis Andria e Mestre. E si attendono le sentenze, possibili già oggi, per Chievo e Parma. Sono 38 i club falliti negli ultimi cinque anni nel sottobosco pallonaro delle serie minori, fatto di controllo del territorio, voti di scambio, e altre amenità.

Dietro i muscoli, il sorriso, la brillantina di CR7, c’è un far west dove vige il diritto del più forte, con pesantissime ricadute sociali. Perché quando una società sportiva chiude non è solo un problema di tifo: il pallone è fondamento delle comunità e, per quanto possa essere in mano a truffatori di mezza tacca, genera un indotto locale che mantiene diverse famiglie. Dove prenderà casa Ronaldo? Quale il segreto della sua dieta? Nessuno si chiede come è stato possibile che metà delle squadre si siano iscritte presentando le fideiussioni false di Finworld, bocciate da Bankitalia. Forse perché altrimenti non sarebbero partiti i campionati, con o senza seconde squadre. Che macchina guida Ronaldo? Dove trascorre le ferie?

Se la penalizzazione del Parma, a leggere gli sms, sembra fumo negli occhi, ben più grave è la vicenda delle plusvalenze fittizie.
Così fan tutti, Ausilio in un mese ha portato all’Inter 40 milioni con i ragazzi della Primavera. Ma il caso del Chievo – recidivo, già dieci anni fa il patron di questa «società modello» Campedelli patteggiò – è emblema del far west. Portato alla luce a gennaio da Pippo Russo su calciomercato.com, la Figc è stata costretta ad aprire un’inchiesta e a chiedere 15 punti di penalizzazione, quindi la retrocessione. Fossero provate le tesi dell’accusa, non si tratterebbe semplicemente di gonfiare i cartellini per truccare i bilanci, ma di essere così avidi da rovinare la vita di decine di ragazzini pur di racimolare qualche dollaro in più, senza accontentarsi dei milioni di euro che arrivano dalle televisioni.

I contratti pluriennali con cui si legano per questioni di ammortamento questi ragazzi, obbligano poi le società a un tourbillon di prestiti che ne distrugge il futuro. Magari non sarebbero diventati Mbappé, ma forse un’onesta carriera l’avrebbero fatta. Di questo passo, l’insegna luminosa rischia di scomparire nel deserto del reale.