La rivista «Nostos», con sede presso l’Associazione internazionale Ernesto De Martino, ha voluto rendere omaggio alla grandezza di Clara Gallini pubblicando, nel suo ultimo numero – il terzo del 2018-, gli atti del convegno dedicato all’antropologa svoltosi alla Sapienza di Roma un anno fa, con il contributo del dipartimento Coris e dell’Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.
La rivista ha raccolto in tre sezioni alcuni testi che rileggono il lavoro di Gallini, venuta a mancare il 21 gennaio del 2017: oltre «Laboratorio», composta degli articoli di colleghi e colleghe dell’antropologa, la parte relativa a «Riletture» comprende il testo di una dispensa utilizzata da Clara Gallini nei suoi corsi universitari a Napoli degli anni Ottanta, infine «Ricerche», una esplorazione della sua attività di ricerca a partire da tematiche sviluppate soprattutto dopo gli anni Ottanta.

In verità, come ricorda Glauco Sanga, Clara Gallini aveva già scritto quello che voleva raccontare della sua vita nel testo Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia, pubblicato nel 2016; un volume che racconta parte dell’infanzia e dell’esperienza di malattia. Adelina Talamonti, ripercorrendo alcune tappe della sua carriera, ne parla come di una «intellettuale resistente». Nata nel 1931 a Crema, da una famiglia borghese, dopo la laurea e gli studi all’estero, Clara Gallini scelse da subito di sfuggire al modello di femminilità – moglie e madre – a cui erano destinate le ragazze appartenenti alla sua classe sociale.
Si iscrisse, dopo la laurea, alla Scuola di perfezionamento in Studi storico-religiosi di Roma diretta da Raffaele Pettazzoni apprendendo in questi anni di studio la forza del metodo comparativo, imparando a leggere laicamente i fatti religiosi e ad assegnare al regime economico un ruolo determinante rispetto all’insieme delle credenze umane. Due anni dopo il diploma, nel 1959, avvenne l’incontro con de Martino che le chiese di seguirlo a Cagliari presso la cattedra di Storia delle Religioni. Aspettando la nomina dal Ministero, e continuando a muoversi tra Milano, Crema e Cagliari, in quegli anni Gallini inizia a cimentarsi con la pratica etnografica alternando l’insegnamento del latino e del greco in un liceo al lavoro come assistente volontaria di de Martino all’Università.
Pur nel solco delle ricerche di de Martino, già nel periodo cagliariano, Gallini lavora per trovare sue chiavi di lettura rispetto a tematiche indagate anche dal «suo» maestro. In questo senso Talamonti, ricordandola nella rivista, parla di «un’eredità difficile» denunciando il fastidio che Gallini provò sempre per l’etichetta di «allieva di de Martino»0. Il periodo cagliaritano è stato per l’antropologa forse il più ricco della sua carriera poiché ha significato l’aprirsi a nuove prospettive teoriche e metodologiche e nuovi oggetti di ricerca: il marxismo e Gramsci, la sociologia, la politica, oltre, ovviamente, all’antropologia. Nel 1975 vince il concorso a cattedra per la disciplina etnologica e, nonostante il clima competitivo e misogino, riesce a farsi strada in virtù dei suoi meriti scientifici. Nominata prima professore straordinario, poi ordinario, nel 1978 si trasferirà all’Istituto Universitario Orientale di Napoli ottenendo la cattedra di Etnologia ricoperta fino ad allora da Vittorio Lanternari. Se la scelta giovanile di trasferirsi a Cagliari, come ricorda Talamonti, era stata dettata dalla ricerca di un’indipendenza economica e affettiva, il trasferimento a Napoli coincide con il riconoscimento di una raggiunta maturità professionale e nello stesso tempo segna l’inizio di un’ulteriore crescita scientifica, per quanto riguarda sia gli oggetti di ricerca – che si diversificano – sia la metodologia e la scrittura.

Mentre insegna a Napoli e vive a Roma, l’antropologa intensifica i rapporti con la Francia, in particolare con Parigi, dove frequenta l’Ecole des Hautes Etudes en Science Sociales in qualità di Visiting Professor nel 1978 e nel 1988. Due anni dopo, nel 1990, Gallini si trasferisce alla Facoltà di Sociologia dell’università «La Sapienza» di Roma dove svolge un ruolo attivo in ambito culturale, ideando e coordinando il Dottorato in «Scienze Antropologiche e analisi dei mutamenti culturali» e continuando a valorizzazione l’opera demartiniana a vari livelli: prima con l’Archivio, poi dando vita all’Associazione internazionale che ha presieduto fino al 2012 per poi diventarne Presidente onorario.
Pietro Clemente, che ha avuto Gallini come co-relatrice della tesi di laurea, la ricorda come un’«antropologa variopinta», colei che più di tanti altri è riuscita nella scrittura a far dialogare soggettività e vissuto nella ricerca: «Etnografia riflessiva, ma modalità “galliniana”, femminile, e certo più avanzata dell’etnocentrismo critico». Fabio Dei, sempre nelle pagine della rivista, sottolinea come tale capacità riflessiva ha tenuto sempre molto lontana l’antropologa da quell’operazione di rifondazione degli studi folklorici, nel nome di de Martino e di Gramsci, che prende il nome di «demologia».
Francesco Faeta sottolinea come Gallini abbia intrapreso percorsi di ricerca innovativi anche per quanto concerne l’aspetto metodologico; sviluppando, per esempio, un particolare interesse per lo studio degli aspetti visivi della produzione culturale, ovvero delle produzioni audiovisive come manifestazione culturale e sociale.
Clara Gallini ci ha lasciato più di quaranta volumi. Tutti, come ricorda Annamaria Rivera, disseminati di spunti autobiografici, che niente sottraggono al loro pregio antropologico e che, anzi, rendono la sua scrittura e il suo stile originali e accattivanti; e tra questi, anche il saggio breve «Divagazioni gattesche», scritto quando l’animalismo e l’antispecismo erano ancora pressoché sconosciuti in Italia.

Vincenzo Padiglione, nella rivista, ricorda Clara Gallini come un’«etnologa del contemporaneo» capace di coniugare l’etnocentrismo critico di de Martino, il turn riflessivo dell’antropologia contemporanea e l’interna eteroglossia e apertura su molteplici codici espressivi. Qualsiasi suo libro, o articolo è frutto di una scrittura mai sciatta, dove l’immediatezza del tratto è un ricercato effetto stilistico, basti pensare al suo testo più audace nella sperimentazione, ovvero Impossibili telefonici congiungimenti).
«Quando si è vecchi e dolenti si rimane soli e le relazioni si riducono a quelle che abbiamo col nostro corpo e coi vari medici». Per quanto dolorose le sue ultime parole non ci consegnano una studiosa sola – o in compagnia dei soli suoi gatti, non a caso animali di margine, collocati come sono «tra un dentro e un fuori domestico»; le sue ultime parole ci ricordano, come sottolinea Padiglione e tutto il numero della rivista, un’antropologa «meravigliosa», per la varietà dei temi esplorati, per la militanza della ricerca, per la sostanza etica della sua postura tenacemente anticelebrativa. Ciò che più emerge dalla rilettura delle sue opere è proprio la lotta a difesa dell’autonomia di chi fa ricerca come un bene assoluto da difendere per salvaguardare la libertà individuale. Un’autonomia sempre praticata nel rigetto di vecchi e nuovi conformismi accademici, riservandosi, al contrario, la possibilità di operare sincretismi, prendere parti e tratti di una teoria per farne con rigore un uso critico, «vero destino della ricerca».