Gli spiriti si sono dispersi, i boschi / sfumati di grigio dall’azzurro di mezzanotte / Lasciando un residuo di polvere / la musica della notte più tenue. Inizia così una delle poesie più belle di Derek Mahon, «The Dream Play», che richiama sin dal titolo la notturna taciturnità onirica dell’omonimo dramma dello svedese Strinberg: Ett drömspel (in italiano Il sogno, e in inglese appunto A Dream Play). Come loro, come quegli spettri dispersi nella notte, è scomparso giovedì scorso, nella sua casa di Kinsale, uno dei più grandi poeti che l’Irlanda abbia partorito nel Novecento.

NORDIRLANDESE, Derek Mahon nacque a Belfast nel 1941 da una famiglia protestante di estrazione proletaria, ma scelse di vivere per lo più da esule, come amava ricordare, nella Repubblica d’Irlanda. Un poeta assai prolifico per tutti gli anni ’70, ’80 e ’90, nel primo decennio del ventunesimo secolo pubblicò diverse raccolte di poesie, ottenendo per due volte in un decennio l’Irish Times Poetry Award e anche il prestigioso David Cohen Prize for Literature. Era annoverato dal pubblico tra gli scrittori irlandesi più noti, anche perché in Irlanda la poesia gode, editorialmente e nella percezione sociale, di grande successo oltre che di prestigio.
Derek Mahon era anche un apprezzatissimo performer della propria poesia in pubblico, famoso per i suoi reading brillanti in cui riusciva a porgere versi assolutamente meditativi con un’energia rara, piena di meraviglia ed empatia.

La sua poesia, stilisticamente controllatissima, predilige i temi dell’isolamento, della solitudine, dello straniamento e della contemplazione, ma trattati spesso con ironia, arguzia e sagacia. La sua esperienza di giornalista negli Stati Uniti e in Canada, poi, ne colora i versi di un tono da conversazione che sembra riesumare uno stile evocativo dato oramai quasi per smarrito nella poesia in lingua inglese: il tocco alla Wordsworth, una profonda levità alla quale però si affianca una capacità di sintesi, una concisione e un parlare in maniera diretta, senza fronzoli o concessioni manieristiche.
Il presidente irlandese, Michael D. Higgins, anch’egli poeta, ricorda la sua scomparsa come «le cadute degli alberi di quercia», e parla di un poeta che era a suo agio con i classici, ma sempre pronto a rinnovarne il messaggio con una «freschezza e un ingegno al contempo perspicace e provocatorio in egual misura».

SULLA STESSA lunghezza d’onda l’altro grande poeta nordirlandese vivente della sua generazione, Michael Longley che ricorda d’aver recensito, di Mahon, «la prima raccolta», Night-Crossing nel 1968, scorgendo sin da allora nell’amico e collega il germe di un poeta in grado di superare barriere e steccati e arrivare al cuore anche del grande pubblico. In realtà, la prima raccolta poetica di Mahon risale a tre anni prima, ed è un volumetto pubblicato dalla Queen’s University of Belfast dal titolo Twelve Poems. Oggi quasi introvabile, copie firmate di questo breve testo hanno un ragguardevole valore di mercato per un poeta contemporaneo.
Una delle poesie più significative che include, scritta sulla tomba dell’altro grande poeta dell’Irlanda del Nord, Louis MacNiece, recita: Le tue ceneri non si rimesteranno, neanche in quest’altura / Ma il vento sferza, le lapidi si scuotono, / Il lotto è consacrato, per amor tuo / A quel che giace nel tempo futuro. Una delle sue poesie più famose, «Everything is Going to be Alright» (Andrà tutto bene), è divenuta di recente un mantra, durante la pandemia. Tra i suoi versi racchiude e conserva il cuore di una saggezza poetica eterna, che neanche le prove più ardue dell’esistenza riescono a scalfire: Ci sarà la morte, ci sarà la morte / Ma non c’è bisogno di parlarne… / Il sole sorge nonostante tutto… / E io giaccio qui in un tumulto di sole / A guardare il giorno spuntare, e le nubi volare. / Andrà tutto bene.