La relazione tra natura e cultura sta fuori o dentro di noi? Oppure invece ci attraversa? Se accettiamo quest’ultima soluzione, allora non possiamo separare completamente quello che costruiamo da quello da cui noi stessi siamo costruiti. Ciò che non possiamo separare però, non per questo rimane indistinto. Più che in relazione, forse dovremmo dire che tutto è in contatto.

SE AMMETTIAMO che gli umani stessi sono attraversati dalla soglia natura / cultura, allora la questione si sposta da queste due polarità, alla stessa soglia mobile che intercorre tra loro. Tale considerazione comporta riconoscere che qualsiasi sia la questione che si pone sulla soglia, questa non può essere risolta una volta per tutte. Le soluzioni sono dinamiche, in divenire, cioè fatte anche di tempo. Nessuna scienza che non prenda in considerazione il tempo può assolvere a questo compito. Non la scienza tecnologica presupposta asettica, apolitica e astorica può arrivare a conoscere di volta in volta dove situare la soglia natura / cultura che ci attraversa.
Dei successiI, ma anche dei disastri compiuti in nome della scienza, quest’ultima sembra non ricordarsi mai, proiettata soltanto al progresso nel futuro. È necessario un sapere che si faccia carico di non dimenticare anche le rovine che l’incedere del progresso scientifico e tecnologico si lascia alle spalle. Un po’ come faceva l’angelo della storia di Klee evocato da Benjamin, non a caso proprio sulla soglia di cambiamenti epocali. Occorrono, insomma, una scienza e una tecnologia che sappiano guardare non soltanto in avanti ma anche dietro le spalle, che abbiano cuore e storia.

VI È DIVERSITÀ SOSTANZIALE fra un prodotto agricolo come il vino ottenuto da una vigna anche con l’impiego di tecnologie, da un vino fatto soltanto nel laboratorio di una cantina. In questo caso, fra le altre, le variabili del tempo meteorologico, la composizione del suolo, la tradizione del territorio, la personalità e la storia del vignaiuolo vengono pressoché neutralizzate per ottenere un prodotto che è il risultato dell’adesione a uno standard esclusivamente enologico commerciale.
In questo ambito del vino è esemplare, anche di queste brevi considerazioni svolte a largo raggio, la vicenda autobiografica raccontata e, soprattutto, pensata nel libro di Piero Riccardi, Il cuore del vino. Diario di un vignaiuolo in tempi confusi (Iacobelli, prefazione di G.Giacobbo, postfazione di G. Pellegrino, pp. 197, euro 14,90).

I MOTIVI BIOGRAFICI che hanno riportato l’autore, insieme alla compagna Lorella Reale, alla terra e a diventare vignaiuolo si intrecciano a quelli della storia delle rapide e traumatiche mutazioni sociali e ecologiche nell’agricoltura avvenute nelle ultime generazioni e alla resistenza opposta dall’agricoltura biologica e dinamica.
Sotto questo aspetto, il libro di Riccardi chiarisce non poche questioni, anche verso chi ha, a volte, istigato un’interessata caccia alle streghe contro l’agricoltura biodinamica. Per esempio, l’autore chiarisce che produrre vino adottando criteri biodinamici non significa tornare al mondo contadino delle generazioni precedenti. Perché anche quando queste generazioni si percepiscono come preindustriali e pre-chimiche, sono in realtà già la trasformazione di quello che esse stesse hanno violentemente danneggiato.

L’EMANCIPAZIONE dalle fatiche e condizioni di vita spesso disumane ha però fornito un alibi ai contadini – trionfalmente fieri sui loro trattori mentre fresano e spruzzano diserbanti e non più chini sul terreno – per esercitare una sorta di vendetta sugli stessi suoli che coltivano (e che, per altro, troppo spesso tornano a far coltivare a braccianti talvolta ridotti quasi in schiavitù, come si vede in tante aree agricole anche nel nostro paese).
IIl circolo vizioso giocato come una coazione a ripetere tra fertilizzazione artificiale dei suoli, conseguente impoverimento e necessità di rifertilizzazione degli stessi terreni ha costruito la convinzione, nei figli dei contadini di ieri, che non si possa uscire da quel circolo. Riccardi mostra, invece, come un’agricoltura biodinamica possa spezzare questo circolo e così accedere – anche attraverso il vino – a fare esperienza della natura delle cose, dei luoghi e del tempo. Soprattutto del tempo degli esseri umani che, da quella natura, è attraversato.