Sono sempre le “tre emme” il sistema pulsante: manifattura, mattone, merci. Il modello veneto oltre la Grande Crisi si affida al progetto di Industria 4.0, senza mai rinunciare alla speculazione immobiliare come al “polo logistico diffuso”.

L’ultimo rapporto di Unioncamere con i dati più aggiornati del 2017 scatta un’eloquente radiografia del sistema economico. Il Veneto conta 488.226 imprese registrate con 1.017 fallimenti e concordati più 7.374 liquidazioni di società.

NEL CUORE DEL NORD EST, si produce il 9% del Pil italiano con un indice di disoccupazione pari al 6,8% della popolazione attiva. E un significativo reddito pro capite: 31.730 euro.
Da sola, la provincia di Vicenza fattura oltre 41 miliardi di euro all’anno, conta su 547 sportelli bancari con 23 miliardi di depositi, esporta 10,5 miliardi (di cui 3 in Asia, 2 in America e 1,8 in Germania).

Un indice indiretto del benessere è rappresentato dalle immatricolazioni auto: 146.860 che vale il più 2,5% rispetto al 2016.

L’altra faccia della medaglia del Veneto è il “ciclo del mattone” che dalle cave e dai cementifici perfino nel Parco Colli Euganei approda fino alla “zona grigia” con la criminalità. Conferma Laura Fregolent, professore associato del Dipartimento di progettazione e pianificazione in ambienti complessi dello Iuav: «La corruzione e le attività criminali hanno da sempre un legame consolidato con le politiche urbanistiche, questo perché dietro vi sono speculazioni edilizie che muovono interessi economici molto forti. Inoltre, il fatto che in Veneto l’urbanistica sia stata sempre meno controllata e gestita praticamente da privati ha fatto sì che dentro la pubblica amministrazione la corruzione si spostasse facilmente dalla gestione delle pratiche edilizie all’attività urbanistica. Le ragioni di questi legami sono diversi: la prima è quella dell’opacità nelle pratiche di pianificazione; la seconda riguarda le pratiche negoziali che spesso hanno portato a favorire alcuni interessi rispetto ad altri; infine, la lentezza nei processi decisionali e una eccessiva burocratizzazione spingono alcuni soggetti ad attivare pratiche illegali».

MA NELLE URNE ha fatto presa anche la propaganda di Salvini sulla sicurezza, sugli immigrati e sulla difesa armata.
Tuttavia, i numeri sono meno terrificanti: risultano 485.477 gli stranieri residenti in Veneto, cioè il 9,9% della popolazione. E la comunità più numerosa è rumena: quasi un quarto degli extracomunitari censiti all’anagrafe. Seguono Marocco (9,6%) e Repubblica Moldova (7,2%), mentre i cinesi arrivano a quota 33.737. La provincia con più immigrati è Verona (104.842) seguita dal Padovano e dal Trevigiano.

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Per quanto riguarda i migranti, secondo il Viminale, all’inizio dell’anno scorso erano ancora “pendenti” 10.747 pratiche di richiedenti asilo nella commissione di Verona con le sue succursali. In Veneto funzionano nell’accoglienza 596 strutture con 9.847 posti con altri 654 disponibili per i minori non accompagnati dei progetti Sprar. Infine, i tre hot spot aperti nella regione: l’ex base militare di San Siro a Bagnoli di Sopra (Padova) con 828 ospiti; la caserma Serena dismessa a Treviso con 708 posti; l’ex struttura militare a Conetta di Cona (Venezia) che era arrivata a contenere 1.234 migranti prima della protesta culminata nella “marcia per la dignità”.

Resta poi troppo spesso sotto traccia la peculiarità formativa del Veneto con le sue quattro Università. Al blasone storico di Padova (58 mila iscritti, di cui oltre 11 mila a Ingegneria) si aggiungono gli atenei veneziani di Ca’ Foscari (10.377 studenti) e Iuav (altri 4 mila) e l’Università di Verona con 63 corsi di laurea per oltre 23 mila iscritti.

Sono vere e proprie Grandi Fabbriche con bilanci annuali da centinaia di milioni, un “indotto” altrettanto significativo e soprattutto il ruolo di patrimonio pubblico. In particolare, nei due hub della sanità veneta più o meno integrati con gli Atenei di Padova e Verona. È un comparto più che cruciale: le Asl del Veneto hanno 60 mila dipendenti, erogano 80 milioni di prestazioni all’anno con due milioni di accessi nelle strutture del solo Pronto soccorso. La Regione spende 9 miliardi e 360 milioni per mantenere livelli assistenziali ritenuti “di vertice” dalle strutture ministeriali di controllo.

AI MARGINI dell’interesse mediatico anche la logistica che continua a espandersi in nuovi e vecchi capannoni, all’incrocio fra le rotte interportuali e la rete autostradale. In Italia lo scorso anno gli investimenti sono raddoppiati nella nicchia immobiliare della movimentazione delle merci, toccando quota 1.162 miliardi di euro ed uno “stock” di 34,7 milioni di metri quadri. Il Veneto – insieme all’Emilia e al Piemonte – è il polo della logistica complementare al distretto-chiave che dalla Lombardia sconfina fino in Svizzera. Ma dietro le ambizioni di intercettare la “via della seta” cinese del Duemila s’inabissa il peggio del modello veneto, che oscilla fra economia nera e lavoro in schiavitù.