Ha quasi un secolo (il debutto avvenne nel 1922) Circo equestre Sgueglia (all’Argentina fino al 23 marzo) che segnò allora il passaggio a un genere più drammatico da parte del genio artistico di Raffaele Viviani. Quel piccolo circo di periferia diviene la recinzione di un mondo dove anche la più scatenata allegria, e la vitalità e l’eros, scoprono ineluttabilmente il volto malinconico e triste che di quelle eccitazioni sono il rovescio inseparabile, e davvero ineludibile. Costruito come una perfetta macchina scenica, quel circo equestre ci offre dai bordi della pista le sfide gradasse e i numeri di abilità, gli innamoramenti e i tradimenti, la sopravvivenza e l’arte, che è insieme quella dell’abilità circense come quella di arrangiarsi.

Lo spettacolo, molto poco frequentato negli ultimi anni dal teatro italiano, arriva ora in tournée dopo il debutto, lo scorso anno, al festival di Napoli, affidato alla regia e alle invenzioni di Alfredo Arias. Il grande regista franco-argentino è uno specialista di varietà e commedie con musiche, dove tante volte ha fatto distillare lacrime dalle pochade più divertenti. Sarebbe lungo l’elenco dei suoi successi, sempre irresistibili, dai memorabili Copi a tante creazioni che ricreavano a Parigi densi umori sudamericani: un titolo tra tanti, Mortadella, che vi annetteva la tradizione dell’immigrazione italiana a Buenos Aires.

Questa volta però, il suo «metodo» si trova curiosamente a «confliggere» con il materiale di Viviani, forse per eccesso di affinità. Arias infatti tende a stilizzare, o a rendere quasi sacrali, i numeri e le sregolatezze di casa Sgueglia, facendone dei numeri di bravura che sanno alla fine di scuola. Cosa che non inficia il racconto, ovviamente, ma lo rallenta e lo incornicia a dispetto della materia che irrompe. Tra l’esterno della pista circolare e i due carrozzoni (Sergio Tramonti firma il disegno di quella scenografia evocativa) dove i componenti della compagnia abitano, provano, si innamorano e si tradiscono, ridono e si eccitano, il ritmo è forse troppo rispettoso e «artistico», meno veloce delle pulsioni che continuamente zampillano da quell’universo.

Mentre quei tempi sono perfetti per la parte finale, quando, sbaraccati i baracconi circensi, le vittime di quel turbinio di fughe e accoppiamenti, si ritrovano a condividere povertà e tozzo di pane, delusione e sconfitte. Così che la solidarietà che scatta tra i due sconfitti Samuele e Zenobia, va al di là della commozione, e prefigura davvero un mondo nuovo, o almeno di speranza. Con i due meravigliosi personaggi interpretati da Massimiliano Gallo, ottimo figlio d’arte, e Monica Nappo. Così come è densa la presenza di artisti di livello, da Tonino Taiuti a Lino Musella, mentre a Mauro Gioia spetta la fine dicitura del narratore.

Ma sono tutti bravi, anche quando impelagati nei costumi eccessivi di Maurizio Millenotti. Molto belli anche gli arrangiamenti realizzati dalle partiture originali da Pasquale Catalano. Uno spettacolo godibile, che nasconde al suo interno più di quanto non mostri.