Sono quasi sempre giovani, agguerrite, e in pochi casi anche corpulente: una spinta dopo l’altra, le donne nel sumo sono riuscite a ritagliarsi il proprio spazio all’interno del dohyo, il cerchio di combattimento in cui bisogna restare con le piante dei piedi ben salde a terra.

Una situazione che è sotto gli occhi di tutti, almeno nella versione sportiva di questa disciplina dalla storia ultra-millenaria, originaria del Giappone. Lontano dal Paese del Sol Levante, l’uguaglianza sessuale nel sumo è ormai una questione tutt’altro che spinosa: «Quello sportivo è estremamente diverso dal punto di vista della parità di genere, non si fanno distinzioni, quando si parla di sport è quasi implicita la caratteristica dell’uguaglianza, e noi atleti ci rispettiamo tutti», racconta Maria Bertola, marchigiana classe 1985, con alle spalle un ragguardevole settimo posto ottenuto ai mondiali di Taipei nel 2018.

Quasi tutte le lottatrici hanno scoperto questa disciplina attraverso il sumo degli uomini in perizoma, e non stiamo parlando di biancheria intima. Il mawashi, è un enorme pezzo di stoffa avvolto sulla schiena dei lottatori che può essere afferrato dall’avversario durante il combattimento . E le lottatrici? «Anche le donne combattono con una tuta da lotta libera ma sotto il mawashi», spiega Fausto Gobbi, veterano della disciplina e membro della Commissione Nazionale Sumo presso la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (Fijlkam). «Personalmente non trovo alcuna differenza nel commentare gli incontri maschili o femminili, li trovo parimenti avvincenti», almeno la pensa così Julien Buratto che ha fatto per diverso tempo la cronaca dei tornei di sumo su Eurosport.

È lui l’autore del portale Sumo.it aggiornato con costanza e passione dal 2004. Le pagine del sito riportano anche il banzuke, la graduatoria del sumo professionistico in Giappone, aperto anche ai lottatori non autoctoni ma praticato soltanto dagli uomini, tanto per intendersi. «In Italia le squadre e gli eventi che pure raccolgono tantissimi curiosi, spesso non sono comunicati alla stampa specializzata. In Europa, soprattutto nei paesi dell’Est Europa, ma anche in Francia e Germani, il sumo ha una dignità diversa e molti lottatori girano il mondo e combattono». In effetti, è a partire dai mondiali di Riesa in Germania, svoltisi nello stesso anno in cui Buratto ha lanciato il suo sito, che ucraine e russe ogni anno salgono immancabilmente sul podio. Anche Gobbi suggerisce di guardare verso Est ma non così lontano: «La Polonia è piena di lottatrici e anche brave». A Osaka nel 2019, la polacca Magda Skrajnowska ha conquistato l’oro nella categoria dei pesi medi.

In pochi anni il sumo si è diffuso in modo capillare in tutto il paese mentre nel nostro Mezzogiorno ad esempio, non esiste nessuna scuola. «L’interesse nei confronti di questa disciplina è in crescita da anni non soltanto tra le donne. Lo si vede dal numero di club sportivi a noi affiliati», afferma con orgoglio il presidente della Federazione sumo polacca (Pzs) Dariusz Rozum, di professione imprenditore edile con un passato nell’allevamento dei suini. Il quartier generale della Pzs si trova a Krotoszyn, una cittadina di trentamila anime.

Lo stufato
Le donne del sumo sportivo non puntano a consumare diecimila calorie al giorno e spesso non hanno mai sentito parlare del chankonabe, lo stufato iperproteico divorato ogni giorno dai professionisti prima di farsi una bella dormita. Eppure gli accorgimenti non mancano: «A ridosso di una competizione non consumo alcolici e provo a non mangiare snack salati», confessa Aleksandra Grygiel. Proprio come Grygiel, un’altra Aleksandra, che di cognome fa Rozum, come il papà a capo della Pzs, va ghiotta per la zuppa ramen, a conferma della predilezione quasi universale di chi pratica sumo per i piatti sostanziosi e molto liquidi. «Il mio rituale preferito ha una funzione purificatrice e viene eseguito prima di un combattimento. Durante lo chirichozu i lottatori alzano le mani prima di emettere un grido, poi se le strofinano in modo da pulirle simbolicamente prima di batterle e mostrare i palmi i segni di rispetto per l’avversario», racconta l’atleta polacca, reduce da un bronzo nei pesi leggeri a Osaka.

Ma cosa resta dello spirito del sumo tradizionale in quello sportivo? Non molto, seguendo il ragionamento di Buratto, ma forse qualcosa rimane: «ll gesto di lanciare il sale, senza sale, non viene fatto. I lottatori non ’vanno e tornano’ più volte al loro angolo, non vengono annunciati, non arrivano tutti insieme, non sfoggiano i loro abiti. Non vi è cantilena degli arbitri quando entrano i lottatori. Sai può menzionare solo un gesto che ho notato molto spesso in entrambe le forme di sumo: aiutare il proprio avversario dopo che è stato catapultato fuori dal dohyo e credo che, di tutte le simbologie, questa sia una delle più importanti, cioè il rispetto per il proprio avversario». Gobbi offre una spiegazione convincente al riguardo: «Nel sumo professionistico i lottatori combattono un incontro, un torneo dura di solito 15 giorni. In quello sportivo, invece, in un giorno devono combattere tutti. Per questo i rituali sono molto leggeri».

Indegne
Intanto i tempi stanno cambiando e in molti si chiedono se le donne avranno un giorno accesso al sumo professionistico. «Nello shintoismo, come anche da noi, il peccato originale è attribuito alla donna considerata impura. A nessuna è consentito entrare in un dohyo consacrato per un torneo professionistico», afferma Gobbi. «La cultura tradizionale giapponese vede le donne come «non degne» di fare molte cose, tra cui il teatro e il sumo tradizionale.

Ciò non toglie che nelle università si facciano incontri di sumo e corsi di teatro a cui partecipano le donne», racconta invece Buratto. Ed è proprio al termine del college che le giapponesi sono costrette a uscire di scena non avendo sbocchi verso il professionismo. L’industria culturale in Giappone non ha quasi mai proposto ai consumatori dei personaggi femminili praticanti questa disciplina.

Pare che dietro ci sia anche un deficit di appeal. Dopotutto, il sumo è e resta roba da maschi nell’immaginario di molti. La bionda studentessa appassionata di sumo Hinako Shijou, non ha ottenuto il successo sperato dopo essere stata introdotta vent’anni fa nell’universo di The King of Fighters, la celebre saga di picchiaduro a incontri prodotta dalla SNK. La figura di Hinako restituisce la misura del grado di accettazione da parte della società nipponica del sumo femminile: tollerato ma pur sempre a condizione che resti un passatempo giovanile. La russa Yulia Skogoreva ha inaugurato di recente una serie di fotografie dedicate alle lottatrici di stanza in Giappone: «Ci ho messo più di un anno per ottenere il permesso di fotografare alcune ragazze». Il documentario breve Little Miss Sumo (2018), diretto da Matt Kay, offre un ritratto avvincente di Hiyori Kon che resta una combattente dilettante nel suo paese, a dispetto di numerosi successi all’estero nella categoria dei pesi massimi.

Tre anni fa a Maizuru, alcune donne sono state invitate a uscire da un cerchio consacrato dopo aver tentato di soccorrere il primo cittadino che aveva accusato un malumore durante la cerimonia di apertura di un torneo. Difficile che un episodio del genere possa ripetersi. Con il tempo l’associazione giapponese di sumo (Nihon Sumo Kyokai) sarà costretta a rivedere alcuni principi etici per offrire all’esterno un’immagine di sé più umana e meno maschilista. Ma questo non significa necessariamente che alle donne sarà consentito un giorno di praticare questa disciplina a livello professionistico.

Da questo punto di vista non ci sono molte differenze di status tra Kon e Mara che non vuole rivelare il cognome. «Si appoggiano i pugni a terra e si guarda negli occhi l’avversario, in attesa che l’arbitro dia il via alla gara. Quei secondi di scambio di sguardi sono magici», rivela Mara, iniziata al sumo al Judo Club Milano da Gobbi. Quest’anno i campionati si svolgeranno il 18 e 19 settembre proprio a Krotoszyn. Nessun dubbio che azzurri e azzurre faranno di tutto per ben figurare durante la trasferta polacca. Mai come in questo caso l’importante sarà restare con i piedi per terra.