Uno scambio di sguardi che va oltre il momento, quello tra il fotografo e la bambina, tra la bambina e l’osservatore. Occhi chiari come le acque di Lomba Bill nel distretto di Teknaf (Cox’s Bazar) nel sud del Bangladesh, sulla stretta striscia lungo la costa del Myanmar, che solo nel 2017 è stata attraversata da centinaia di migliaia di rifugiati Rohingya. Le lacrime scorrono silenziose sul volto di quella bambina, come il silenzio della leader birmana e premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi di fronte al genocidio che si sta perpetrando nel suo paese nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya, poverissimi, privati del diritto di cittadinanza e costretti a trovare rifugio in Bangladesh, dove si accalcano nei campi profughi. Con questa fotografia (Battle Victim), K M Asad (Dhaka, Bangladesh, 1983) si è aggiudicato la nomina di «Photographer of the year 2018» alla IV edizione del Sipa – Siena International Photo Awards e con la sequenza Rohingya Exodus (2017) ha ricevuto la menzione d’onore nella categoria Storyboard, in mostra nella collettiva Beyond the Lens negli spazi dell’Ex-distilleria «Lo Stellino» di Siena (visitabile fino a domani).
È dal 2012 che il fotoreporter bengalese che collabora con Zuma Press e Getty Images documenta questo dramma. Con i suoi scatti ha vinto vari premi, tra cui Unicef Photo of the Year 2017 e quest’anno HIPA – Hamdan International Photography Award: l’emozione più grande non è stata tanto quella ricevere i 25mila dollari di premio, quanto l’abbraccio di James Natchwey, un vero mito per lui. «Ho finito gli studi nel 2008», afferma Asad che ha studiato a Pathshala, la più importane scuola di fotografia del Bangladesh, fondata a Dakha nel 2000 da Shahidul Alam, il fotoreporter e attivista di fama internazionale che è in carcere da agosto scorso dopo aver rilasciato un’intervista a Al Jazeera in cui criticava la repressione sanguinosa delle manifestazioni studentesche di Dhaka e il malgoverno del primo ministro Sheikh Hasina – «da allora ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa per la gente».

Consideri fotografare una missione?
Sì. La fotografia Battle Victim rappresenta una situazione drammatica. La questione Rohingya è iniziata molto tempo prima che scattassi questa foto. I Rohingya arrivavano in Bangladesh già dal 2012, ma nel 2017 la situazione è precipitata. È un vero massacro. In un solo giorno 25mila persone hanno attraversato il confine, soprattutto donne e bambini. Come fotoreporter non potevo non fotografare. La fotografia fa conoscere al mondo realtà come questa.

Cosa ti ha portato a scegliere di studiare fotografia?
La mia è una famiglia di classe media ricordo quando, nel ‘98, mio padre mi prese una macchina fotografica, un modello molto semplice. Scattò una foto a me con mia madre. Poi invertimmo i ruoli e feci io una foto a mio padre e mia madre. Quando sviluppai il rullino e stampai le foto vidi che in quella di mio padre non avevo la testa! (ride, ndr) Ma la mia foto era bella. Capii che avevo una certa propensione per la fotografia e nel 2004 decisi di seguire dei corsi di base al Bps – Bangladesh National Photographic Club, frequentando poi i tre anni di corso di Pathshala.
La retta era costosa, ma la scuola mi ha dato la possibilità di pagare a rate, inoltre ha un sito web che funziona come una sorta di agenzia fotografica, attraverso il quale ho venduto molte immagini.

Shahidul Alam è in prigione da mesi. È un momento difficile in Bangladesh e, nello stesso ambito di questo contest, ci sono altri sei fotografi bengalesi che hanno meritato delle menzioni (MD Tanveer Hassan Rohan, Moin Ahmed, Md Zakirul Mazed Konok, Noor Ahmed Gelal), anche se solo Rahat Karim ha raccontato un momento di protesta con «Life from Dhaka»…
La fotografia è cruciale. Ci sono problemi con il governo, ma mi è difficile parlare perché, essendo abbastanza conosciuto in Bangladesh quello che dico o scrivo viene letto su facebook. Anch’io ho scattato delle foto che riguardano la questione degli studenti, ma ci possono essere problemi nel pubblicarle o nel dire qualcosa.
Conosco molto bene Shahidul Alam che è stato il mio insegnante. Trovo che lui sia una persona molto onesta e che abbia fatto molto in Bangladesh per la fotografia. Stiamo cercando di fare delle piccole proteste e altro, ma non succede niente.

È evidente che dietro l’arresto di Shahidul Alam ci siano altre ragioni, oltre l’intervista alla rete televisiva araba…
Nei prossimi mesi ci saranno le elezioni parlamentari. Non penso che in questo momento ci sia la possibilità di mostrare al mondo la verità. Metterò via la macchina fotografica e non scatterò nulla. Questa sarà la mia protesta.