Yasser (Kamel el Basha) è un operaio palestinese che vive in un campo profughi di Beirut, un giorno ha uno scontro verbale con Toni, meccanico cristiano (Adel Karam) che pretende le sue scuse anche se è ugualmente in torto. Yasser non vuole scusarsi, poi però accetta ma l’altro lo insulta di nuovo e quella che appare come una querelle «virile»rischia di essere l’origine di una guerra.

Rivelato una decina di anni fa col successo dell’esordio West Beirut, Doueiri che è libanese, bambino del conflitto vissuto prima di emigrare in Francia, torna pure se in modo obliquo sul trauma ancora vivo del proprio Paese che è anche uno dei temi centrali del suo immaginario.

The insult – in gara alla Mostra per il Libano (coproduzione francese), ma il governo libanese nei titoli di testa prende ufficialmente le distanze dal suo contenuto, cosa davvero strana – indaga la progressione di uno scontro la cui origine appare spesso un dettaglio banale. E dall’allusione alla guerra civile sposta il centro del racconto sul rapporto tra palestinesi e società libanese, una contraddizione irrisolta visto che i primi dopo decenni continuano a non avere alcun diritto civile e a essere violentemente marginalizzati – è questo forse il nodo spinoso, e la ragione delle dichiarazioni del governo libanese.

La presenza dei palestinesi, il loro essere vessillo da sbandierare e al contempo presenza indigesta in molti paesi arabi è un tema sensibile – ricordiamo il bellissimo film di Yousri Nasrallah La porta del cielo – ma se il regista egiziano assumeva la questione in termini di responsabilità, Doueiri, fragile anche nelle scelte cinematografiche, prova a smorzare i toni forse anche per equilibri diplomatici a cominciare dalla scelta dei due protagonisti, uno cristiano e uno musulmano, con possibile spiegazione di dissonanze religiose, perdendo in queste strettoie anche l’occasione del film.