Pierre Bourdieu ha sempre tenuto a sottolineare la sua estraneità alle diverse «scuole di pensiero» che hanno dominato la scena culturale, e accademica, in Francia. A chi lo voleva strutturalista, rispondeva attingendo a piene mani in campi teorici sideralmente lontani dallo strutturalismo. A chi lo voleva weberiano, rispondeva con l’elogio di Emile Durkheim. A chi, infine, lo dipingeva come un marxista «mimetico», ostentava il riferimento a volte ossessivo degli «errori» – questo il termine che amava usare – di Marx nell’analisi della società capitalistica.

Lo fa anche nel primo dei due volumi pubblicato da Feltrinelli che raccoglie le lezioni sullo stato tenute al Collège de France tra la fine degli anni Ottanta e il 1992 (a quando la pubblicazione del secondo volume?). In quelle lezioni, l’«inventore» della nozione di «campo» non risparmia critiche a Marx e a Louis Althusser, che allo Stato aveva dedicato non poca attenzione. Inutile ricordare anche le dichiarazioni di indifferenza verso Michel Foucault.

Questa ostentata ostilità verso chi cercava nei grandi nomi del pensiero critico possibili genealogie della sua «prassi teorica» è dovuta sicuramente a un fattore che attiene alla sua riservatezza, alla sua tensione a misurarsi con temi che normalmente sia la filosofia – Bourdieu aveva avuto una formazione filosofia – che la sociologia – «tecnica» di analisi scoperta in età matura – consideravano ai margini delle loro discipline. E nel catapultare al centro della scena aspetti fino ad allora considerati marginali introduceva espressioni che in molti hanno considerato o criptiche o «giochi linguistici». È stato così per la nozione di campo che di «prassi teorica». Il primo termine poteva indicare di tutto un po’, ma negli scritti di Bourdieu emerge invece la capacità di appunto svelare le relazioni di dipendenza del singolo dalla struttura sociale, la «prassi teorica» sottolinea la dimensione sociale della conoscenza.

Bourdieu è stato un intellettuale eccentrico, che preferiva soffermarsi su alcuni «dettagli» della vita sociale e attraverso quelli far emergere appunto le strutture sociali e di potere vigenti. Un’eccentricità che costituisce una indicazione di metodo e, al tempo stesso, il portato più rilevante di un’eredità intellettuale da mettere finalmente a verifica.