Ho studiato a lungo in passato un meraviglioso oggetto, paradigma dell’intaglio romano di epoca barocca. La doratura non è inferiore all’esecuzione e all’idea portata a termine. Non è ovvio sapere, così come lo si vede oggi, a che uso fosse destinato tale bizzarro intreccio di forme apparentemente prive di destinazione nonostante, come subito si vedrà, quel che la carta scrive. Fra i conti Barberini v’è, nei fasci della Computisteria, un calepino dedicato, fra il 1681 e il 1706, ai computi di Giovanni de’ Sebastiani Giorgetti intagliatore di cui varrebbe la pena di leggerne uno adesso. Siamo nel 1698: «adì 13 feb° per aver fatto il piede della Culla tutto di legname di tiglio… si è preso il parafango del calesse che donò al Sr Principe il Sr Cardinale Ottoboni servitomi dell’aquila e la coda fatto di novo e buttato via le due teste e fattoci di novo un’altra testa d’aquila e servitomi d’un pezzo di cartella attaccata a detta aquila e il restante fatta tutta di novo con cartellami e rabeschi di fogliami e festoni e il sole con suoi raggi e rami di lauro et api e un putto in forma di Cupido con arco e circasso e di sotto per pianta di detto piede fattoci un tavolone d’olmo grosso ¼ centinato e scorniciato et intagliato con foglie frappate, longo fa piedi 9, palmi 6 ½ e largo palmi 4 e alto palmi 6 ¼ e agiustatoci li bilichi della Zaina come si vede assieme tutta isolata con Manifattura tutta s(cudi) 160».
Mi ci volle a suo tempo una certa insistenza per capire esattamente a che serviva questo straordinario intreccio di forme di vario tipo – si trattava certamente di una culla? Innanzitutto cominciamo col dire che il Signor Principe di cui si parla all’inizio del documento era Don Urbano Barberini (1664-1722), terzo Principe di Palestrina, figlio di Don Maffeo e di Donna Olimpia Giustiniani sposati nel 1653. Don Urbano ebbe tre mogli, ma entro il 1698 non riuscì a produrre alcun erede definitivo. Ebbe un maschio dal secondo matrimonio contratto con Felice Ventimiglia Pignatelli d’Aragona, sposata nel 1693, il quale morì ad appena tre anni di età. Dal primo matrimonio non aveva avuto figli: la moglie era Cornelia Ottoboni, sorella del Cardinale Pietro Ottoboni (1667 -1740, nipote del Papa veneziano Alessandro VIII), il quale gli aveva donato un calesse, in parte utilizzato per il mobile qui esaminato. Si noterà che l’aquila che vediamo nel mezzo di questa giungla ornamentale, era all’inizio l’aquila degli Ottoboni e dunque bicipite, ragion per cui venne decapitata per destinarle una nuova e sola testa. Non sono riuscito a trovare dove venne conservata la nostra misteriosa culla che potei vedere verso la fine del secolo scorso quando era sul mercato d’arte.
Si è già letto prima nel documento citato dell’Archivio Barberini che l’intagliatore Giovanni de’ Sebastiani Giorgetti dichiara di aver «fatto il piede della Culla tutto di legname di tiglio» e «agiustatoci li bilichi della Zaina». La parola «zaina» ricordo mi causò qualche problema di comprensione, ma mi sovvenne una parola del mio nativo spagnolo, zaina, che dal Diccionario de la Lengua Española, Real Academia Española, proverrebbe dal longobardo zaina: cesta, y éste del alemán antiguo zaina. Evidentemente perché questa culla potesse essere utilizzata per ospitare un neonato, sarà stato necessario di completarla con dei cuscini foderati di belle stoffe. Subito dopo trovai una risposta al mio quesito, a pagina 63 verso dello stesso calepino di Giovanni de’ Sebastiani Giorgetti: «Per aver fatto due piedi di culla a una Zaina foderata di damasco verde con trine d’oro e argento fatti detti piedi in tavola grossa un quarto contornata e traforata intagliata con intreccio di cartellami svenati a pelle intagliata dentro e fora e nel mezzo da capo e piedi intagliatici le cifre di rilievo cioè da una parte il nome della Sig.ra Principessa e dall’altra il nome del Sig. Principe prima agiustata la tavola centinata alla Zaina conforme il garbo di detta Zaina … e intagliato il balaustro fra un piede e l’altro inchiodato in opera con li suoi regoli e centinati per di dentro detta Zaina s. 18. 28 gennaio 1700». Quindi erano passati due anni da quando era stata menzionata per la prima volta (il 13 febbraio 1698) la culla o piede di culla come viene definita nel documento.
Non possiamo affermare che, così come è descritto, questo piede di culla corrisponda in ogni dettaglio al misterioso arredo conservato oggi nel Getty Museum nella California del Sud (misure cm. 170 x 225 x 89), per quanto, non va negato, buona parte della decorazione, con un’aquila e «cartellami e arabeschi di fogliame» e rami di lauro vi trovi corrispondenza; non resta però traccia delle api, del putto, del sole, dell’arco e del circasso e tantomeno del Cupido. Il documento comunque dimostra la libertà o, meglio, la bizzarra avarizia dei grandi signori dell’epoca che utilizzavano, come abbiamo letto, il parafango di un calesse per tutt’altro uso. Qualche risparmio ci doveva pur essere. Speriamo che ne sia valsa la pena.
Se restasse qualche dubbio sulla destinazione di questo mobile alla famiglia Barberini, anche se oggi non si vedono più, non si dimentichi che nel primo documento citato si specifica che l’intaglio comprendeva quelle che sono figure simboliche della famiglia, il sole con i suoi raggi, rami di lauro e le api. D’altra parte, come si è capito via via che si citano i documenti d’epoca, gli artigiani che lavoravano per una famiglia dell’importanza e della ricchezza dei Barberini erano all’opera quasi sempre in permanenza: il calepino che contiene solo i documenti dei lavori prestati da Giovanni de’ Sebastiani Giorgetti inizia nel 1681 e si conclude nel 1706 ed era composto da un centinaio di pagine.
Tutto questo è ben spiegato in un mio lungo articolo estremamene pedante e non privo di informazioni, che, per rendere tutto più difficile ancora, è scritto in inglese, ma con i documenti originali in italiano del Seicento: Concerning Furniture. Roman Documents and Inventories. Part I, c. 1600-1720 in «Furniture History», vol. XLVI, 2010. I documenti su de’ Sebastiani non erano solo nell’Archivio Barberini, ma altri ne citavo nell’Archivio Rospigliosi e in quello Sacchetti per non poca informazione specifica su questo intagliatore assai più importante di quanto prima si credeva