È il 2346, duecento anni dopo il Grande Disastro, in un luogo non ben definito dell’universo ma che nella toponomastica ricorda i fasti dell’antica Roma. E potrebbe arrivare anche dopodomani, in un futuro vicinissimo, lo scenario che ci tratteggia Nadia Tarantini nel suo Quando nascesti tu, stella lucente (L’Iguana Editrice, pp. 404, euro 17), romanzo di fantascienza che parla del presente molto più di tante cronache giornalistiche.
Una scrittura che l’autrice ha tenuto per quasi 40 anni nel cassetto e che avrebbe dovuto chiamarsi La diciottesima vita. Quella dei sopravvissuti agli esperimenti scientifici, al mal governo, alla rinuncia ai corpi e alla memoria, ai sogni di eternità, potere e onniscienza, alla distruzione della Terra per mano squisitamente umana.

Il nucleo centrale del 1978 aveva già in sé la questione ambientale così fortemente contemporanea?
Nella prima trama che avevo abbozzato in quell’autunno, nella carta giallina sulla quale scrivevo i miei articoli per l’Unità, ci sono gli elementi fondamentali: le Ibernazioni, i Cubi, la Scelta, il peso delle emozioni che fanno invecchiare. Ma non c’era esplicito riferimento all’ambiente. Un anno dopo ho aggiornato la trama e mi è stato chiaro che il Grande Disastro di cui iniziavo a parlare era di natura ambientale/climatica. E ricordo, pochi anni dopo, di essere stata definita da un importante dirigente Pci, noto nuclearista, «figlia dei fiori» durante un affollato convegno sull’energia a Montecitorio. Lo urlò con sprezzo, e additandomi al pubblico ludibrio.

Vi è un’attenzione alla maternità biologica in contrapposizione a quella adottiva, in generale sul «potere procreativo» delle donne. Non crede che la fantascienza femminista possa osare qualcosa in più su questo tema?
Come ci sono tanti femminismi, ci sono anche vari modi di fare fantascienza femminista: penso alla distanza che c’è fra le scrittrici di Science Fiction degli anni Settanta e Ottanta; e l’approdo fantascientifico di scrittrici autorevoli, in origine non di fantascienza, come Angela Carter, Doris Lessing e più recentemente Margaret Atwood.
Nel mio caso, non direi che sia una mia preferenza, quanto piuttosto una necessità narrativa: descrivo un mondo dove si apprestano ad espropriare le persone dell’intero corpo, le memorie e le emozioni collegate. Il desiderio della protagonista Marcela per una maternità biologica è quindi connesso al tema centrale del corpo delle donne che per me è segnato dalla (possibile) maternità. Credo e ho fiducia nel potere procreativo delle donne, che si diventi o non si diventi madri biologiche.

La «scelta» è una delle parole chiavi del testo, oggi nel mondo in cui viviamo secondo lei quanta possibilità di scelta abbiamo?  
Istintivamente dico che sì, abbiamo sempre e comunque una possibilità di scelta. Forse oggi è più difficile che in passato? Non so, di sicuro la possibilità di scelta è molto diversa.
In passato era quasi esclusivamente legata a fattori materiali, come faceva una figlia di contadini del mio paese ad arrivare all’università? Ne ho viste piangere, intelligenti e dotate, quando in quinta elementare al massimo venivano richiamate a casa per lavorare e aiutare la famiglia. Oggi, nel nostro mondo cosiddetto occidentale, c’è anche una difficoltà di scegliere più sottile, connessa alla incapacità di staccarci da abitudini molto comode, anche se ci creano sofferenza.

Quanto ha influito e come la sua militanza femminista nella scrittura?
Quando ho progettato il romanzo, trentanove anni fa, non ero femminista, o meglio: non sapevo di essere una potenziale femminista. Ero nelle commissioni femminili del Pci e le prime manifestazioni femministe mi riempivano sotto sotto di orgoglio… e sopra sopra di paura! Il mio femminismo si è rivelato ed è cresciuto pian piano, un po’ come il romanzo. Attraverso tante letture, osservando, conoscendo, cominciando a scambiare con le femministe della mia città, Pescara, a partire dal comitato che facemmo contro la «commissione medica» che doveva decidere se una donna potesse abortire o no.
Il romanzo e il femminismo che pian piano mi nutriva si influenzavano a vicenda. E gli sviluppi del romanzo devono molto al femminismo di ricercatrici come Luisella Vèroli, archeo-mitologa e delle americane Riane Eisler (autrice di Il Calice e la spada) e Starhawk.
In tutte si torna al corpo delle donne nella sua pregnanza, alla natura e all’ambiente, in una forte connessione con l’elemento femminile.