Gli Stati uniti non hanno mancato, nel passato vicino e lontano, di attaccare i governi occidentali che preferiscono pagare consistenti riscatti agli islamisti per avere liberi propri cittadini ostaggio di gruppi terroristici. Roma lo sa bene. Tanto forte è la posizione di Washington sull’evitare la facile strada del denaro che negli ultimi mesi gli statunitensi finiti nelle mani dell’Isis sono stati barbaramente giustiziati. Meglio vederli morti che oliare la macchina dei riscatti, contribuendo ad arricchire le casse del nemico.

Ma dentro l’armadio della fermezza Usa, non mancano gli scheletri. Ieri il New York Times ne ha tirato fuori uno: nella primavera 2010, il governo afgano dell’alleato di ferro Karzai si accordò con al-Qaeda per versare nelle casse del gruppo di Bin Laden 5 milioni di dollari per liberare un diplomatico, Abdul Khaliq Fahani, prigioniero del gruppo di Bin Laden dal 2008. Una cifra troppo alta per Kabul che andò perciò a pescare un milione di dollari in un fondo segreto creato dalla Cia, rimpinzato di centinaia di migliaia di dollari ogni mese dai servizi statunitensi a favore del presidente afgano. I restanti quattro milioni arrivarono da Iran e paesi del Golfo: anche questi ultimi versavano denaro nel fondo presidenziale segreto, utilizzato da Karzai per comprarsi la lealtà dei funzionari e per creare una rete clientelare a lui personalmente devota.

Il diplomatico afgano fu rapito in Pakistan, dove era inviato, da ribelli afgani che lo vendettero pochi giorni dopo ad al-Qaeda. Kabul avviò trattative indirette con il gruppo, attraverso la mediazione della fazione afgana ribelle Haqqani. Inizialmente la richiesta di Bin Laden fu la liberazione di alcuni suoi militanti detenuti dal governo di Kabul, che rifiutò però qualsiasi scambio, preferendo pagare il cospicuo riscatto.

Il pagamento giunse in un momento particolare per al-Qaeda che usciva da una dura campagna aerea Usa: in Pakistan le file del gruppo islamista erano state decimate. Tanto che il commento dell’amministratore qaedista Atiyah Abd al-Rahman, in una lettera al leader Bin Laden, fu cristallino: «Dio ci ha benedetto con un buon ammontare di denaro questo mese». Abd al-Rahman aggiunse nella missiva che i milioni di dollari in questione sarebbero stati utilizzati per acquistare nuovi armamenti e per sostenere le famiglie dei membri di al-Qaeda detenuti in Afghanistan

I soldi erano così tanti, continua il New York Times, che lo stesso Bin Laden non nascose i suoi sospetti, non immaginando che potessero arrivare da un fondo Cia: «C’è la possibilità che gli americani sappiano di questa consegna di denaro – scrisse in risposta – e che abbiano accettato l’accordo sul riscatto solo nel caso i soldi siano monitorati con sorveglianza aerea». Ovvero, specificò il leader qaedista, è possibile che li abbiano inquinati con veleno o radiazioni, o abbiano posto chip per seguirne i movimenti.: «Mi sembra strano perché un paese come l’Afghanistan in genere non paga per avere indietro propri uomini. È parente di qualcuno?». In effetti Farahi lo era: era il genero di uno dei più stretti collaboratori dell’allora presidente Karzai.

Il coinvolgimento della Cia e del governo statunitense nel pagamento del denaro necessario alla liberazione dell’ostaggio non è del tutto certo. Non è dato, per ora, sapere se l’intelligence fosse a conoscenza che dal fondo segreto Kabul abbia attinto denaro per girarlo ad al-Qaeda. In ogni caso sotto i riflettori finisce la strategia di Washington in simili teatri di conflitto: l’incapacità di controllare gli alleati, di verificare i legami degli amici con i nemici e di monitorare il passaggio delle proprie armi e del proprio denaro nelle tasche di chi sta in realtà combattendo.

La Cia preferisce non commentare la notizia pubblicata dal Nyt e venuta alla luce durante il processo tenuto a Brooklyn contro Abid Naseer, un membro pakistano di al-Qaeda condannato il mese scorso per aver preso parte ad un attacco dinamitardo in un centro commerciale inglese. Secondo il quotidiano, le lettere tra Bin Laden e il suo amministratore furono trovate nel 2011, dopo la cattura e l’uccisione del leader qaedista in Pakistan.