Lo stop ai concerti dettato dalla pandemia e lo strapotere dello streaming sulla discografia ufficiale «fisica», sta determinando una reazione a catena inimmaginabile solo fino a pochi mesi fa. La mossa di Bob Dylan che ha ceduto i diritti sulle sue opere alla Universal, come quella di Stevie Nicks e – annunciata oggi – da David Crosby, sono dettate dal tentativo di monetizzare prima che sia troppo tardi, un catalogo prezioso che lo streaming rischia di svalutare. «Anch’io sto vendendo», ha spiegato Crosby: «Non posso lavorare, e lo streaming sta rubando i miei soldi. Ho una famiglia e un mutuo da pagare: devo prendermi cura dei miei cari, quindi questa è la mia unica opzione. Sono sicuro che anche altri siano nella mia stessa situazione».

INFATTI non è la sola voce a protestare contro i bassi profitti garantiti agli artisti dallo stream. Anche Nile Rodgers – come riporta un articolo pubblicato sul «Guardian» – , ha fatto appello durante un convegno sul futuro della musica digitale, per dare ai musicisti una giusta remunerazione e per essere più trasparenti sui redditi dello streaming. Ma l’attenzione del leader degli Chic, produttore di album storici per Bowie e Madonna, si è concentrata sulle politiche delle major: Sony, Universal e Warner Bros non starebbero facendo o abbastanza per dare a cantautori e artisti una giusta quota. Rodgers sottolinea: «Non è con i servizi di streaming che abbiamo il problema, sono le etichette che lo stanno perpetrando». Il rischio, prosegue l’autore di Good Times e decine di celebri hit, è che presto la forbice si allargherà in maniera irreversibile: «Così che le label avranno troppo potere perché la situazione possa essere cambiata».
Ma c’è un altro rischio sottolineato anche dal musicista jazz e hip-hop Soweto Kinch: «Se artisti come Rod Stewart, David Bowie e Kate Bush iniziassero ora la loro carriera, avrebbero enormi difficoltà a causa del modo in cui lo streaming promuove certi tipi di musica e canzoni». Per Kinch si sta limitando la creatività: «Se vuoi sopravvivere devi adeguarti alle canzoni per playlist, alla durata tassativa di tre minuti, a suoni identici e globalizzati. Non hai la possibilità di ’correre’ quei rischi musicali incredibili che Bowie avrebbe potuto correre decenni fa».