I territori indigeni brasiliani hanno una popolazione di 517 mila persone (Ibge, 2010). Fra questi, oltre 400mila hanno più di 18 anni e rientrano nel programma ufficiale di vaccinazione. Tra questa popolazione, la campagna negazionista scatenata dai religiosi si è rivelata particolarmente pericolosa: sono sempre più frequenti le segnalazioni di interi villaggi che hanno rifiutato il vaccino, influenzati dai missionari che, dall’inizio della colonizzazione, hanno continuato nel loro intento evangelizzatore per «conquistare le anime» degli indigeni.

NEL VILLAGGIO della tribù Arara nella regione dello Xingu, Pará, delle 60 persone che potevano essere immunizzate, poco più della metà lo hanno voluto fare, come racconta al manifesto Luciano Pohl, responsabile dei popoli indigeni isolati nel Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiab). «Le autorità sanitarie ci hanno provato almeno tre volte e il numero è rimasto basso. Nell’Alto Xingu (nord del Mato Grosso), interi villaggi si sono rifiutati», racconta Pohl. Che riferisce anche di aver avuto accesso a degli audio di WhatsApp in cui i pastori delle chiese evangeliche locali dicevano agli indigeni che il vaccino gli avrebbe fatto male e che «solo Dio li potrebbe salvare».

UN ARTICOLO FIRMATO dall’antropologo Miguel Aparicio per l’Osservatorio per i diritti umani dei popoli indigeni isolati (Opi) sostiene che la campagna di disinformazione si diffonde attraverso file audio e video che girano sulle applicazioni telefoniche, con frammenti di testi e discorsi di leader come il pastore Silas Malafaia e altri, sui supposti effetti patogeni. «Il vaccino fa venire il cancro», «impianta un chip attraverso il quale i cinesi ti controlleranno», «gli indios sono cavie per testare il vaccino dei bianchi» sono alcuni dei messaggi diffusi tra le popolazioni indigene in Ceará, Bahia e Mato Grosso do Sul.

La mancata vaccinazione di queste comunità le rende ancora più vulnerabili. La maggioranza di questi villaggi ha poco o nessun accesso ai servizi di emergenza; molti di loro si trovano in località il cui accesso è possibile soltanto dopo lunghissimi viaggi in barca; per altro, hanno un’aspettativa di vita inferiore. E molte tribù sono anche i vicini più prossimi delle cosiddette popolazioni isolate – cioè, che non hanno mai avuto contatti rilevanti con altre popolazioni. Per i popoli isolati, che hanno un profilo epidemiologico ancora più delicato, una semplice influenza può decimare un’intera comunità.

ANTENOR VAZ, CONSULENTE internazionale sulle metodologie per le popolazioni indigene isolate, sostiene che, per proteggere le 114 popolazioni isolate individuate in Brasile, è fondamentale creare barriere sanitarie e cordoni di isolamento, in pratica, ridurre la circolazione delle persone in quelle zone e vaccinare il più possibile le popolazioni che li circondano.

Secondo l’Unione dei popoli indigeni del Vale do Javari (Univaja), in Amazonas, una delle regioni con la più alta concentrazione di popolazioni isolate, lo scorso anno, i missionari hanno cercato più volte di entrare nella regione per raggiungere questa gente. «Il loro obiettivo era impedire agli indigeni di farsi vaccinare», riferisce Paulo Kenampa, coordinatore dell’Univaja. Questi gruppi normalmente operano attraverso la cooptazione di giovani studenti evangelizzati che si spostano tra i villaggi, spiega.

I CASI DI COVID-19 tra le popolazioni indigene, finora, sono arrivati a 51.189 e hanno già ucciso 740 persone, secondo il ministero della Salute (dati aggiornati al 19 luglio. Le organizzazioni indigene sottolineano che il numero è sottostimato e che più di 1.100 indigeni sarebbero già morti per il virus.