Uscire dal mare è ancora l’incubo del passato che tormenta la notte di Nadia, una vita da schiava nelle case dei ricchi di Casablanca. Dalla Libia all’Italia in dodici giorni, dopo l’inferno osceno del viaggio in mare. Ci dice che essere ancora viva è per lei una fortuna immensa. Che oggi chissà se l’avrebbero salvata come allora, quando riuscì a sbarcare a Salerno grazie a una barca della Guardia Costiera spagnola. Erano i tempi della missione Sophia, la stessa missione che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, chiede ora di ripristinare «perché è importante aiutare in mare ogni persona che si trova su imbarcazioni di fortuna». Era il 2017 e sembra passato un secolo. Due anni fa non soccorrere in mare era ancora una prospettiva impronunciabile.

ORA NADIA VIVE AD OTTATI, ha ottenuto la protezione speciale ed è entrata con tutto il suo nucleo familiare, marito e tre figli, nello Sprar, «sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati», gestito dal consorzio di cooperative sociali La Rada che nel Cilento, tra cinque paesi, ha saputo reimmaginare la vita di 96 persone, di cui 30 minori, fuggiti da morte o povertà, da schiavitù o prostituzione. Assieme a lei ci sono altre tre donne, una siriana, arrivata qui grazie al corridoio umanitario, una nigeriana e una ghanese, storie terribili di detenzione in Libia e stupri e mercati di donne. Storie nate nell’architettura progettata con gli accordi bilaterali tra il governo Gentiloni e quello di unità nazionale libico al Sarraj: quasi 6 mila i morti nel Mediterraneo, 15 mila i migranti riportati indietro dalle motovedette libiche, migliaia e migliaia le donne e gli uomini detenuti, torturati nei centri di detenzione. Numeri divulgati da un recente rapporto Oxfam, incarnato nelle storie di questi uomini che qui hanno una casa e tre di loro persino un lavoro. Che qui crescono i bambini, alcuni concepiti in quel passato oscuro, il cui ricordo è lambito dallo scorrere delle giornate, tra scuola di italiano, laboratori professionali e le incombenze, che sembrano un lusso e, invece, è solo il minimo di dignità che spetta a chiunque nel mondo.

CLAUDIA MITIDIERI coordina con grande dedizione e competenza questo centro e quello di Ogliastro Cilento. Ci fa conoscere tutti i nuovi abitanti. Ci presenta Blessing, 22 anni, riconosciuta dalla commissione come «vittima di tratta», ha ottenuto lo status di rifugiato per fondato rischio di morte in caso di rientro nel suo paese, la Nigeria. Ha da poco superato l’esame di italiano più difficile, quello che viene chiesto per ottenere la cittadinanza. Ci sa fare con le lingue e infatti insegna inglese ai bambini del paese. Come tutti è seguita da uno psicologo, è stata assistita da un avvocato nell’iter legale. Come tutti ha la quota di denaro prevista per il vitto e l’alloggio, pochi soldi ma che aiutano il processo di inserimento, fatto anche di spesa al supermercato, di aiuto con i vicini di casa.

La cittadina conta 400 abitanti e si trova sotto i monti Alburni, in quella porzione di Campania sconosciuta, fatta di aria da vetta, fiumi freddi, centri storici abbandonati. Grazie al progetto tornano nel paese i servizi smantellati dall’estinzione del welfare pubblico. Da settembre riaprirà l’asilo nido e si pensa a un poliambulatorio. Gli operatori sono tutti cilentani, hanno risposto al bando del comune. Sono potuti tornare perché il sistema di accoglienza permette di lavorare. Due di loro, dopo la laurea e la specializzazione fuori, stanno riuscendo ad esercitare, grazie al progetto, proprio ad Ottati la professione di psicoterapeuta. Un’altra ha conseguito il titolo per insegnare italiano agli stranieri. Con i migranti formano una comunità che si parla attraverso lo scambio.

IL SINDACO DEL PAESE, giovanissimo, vorrebbe ampliare l’accoglienza, ma i due decreti sicurezza stanno intervenendo pesantemente su questo sistema, nato nel 2001 da un protocollo tra il ministero dell’Interno, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Gli Sprar originariamente erano destinati anche a chi chiedeva la protezione umanitaria e ai richiedenti asilo. Ora, dopo il primo decreto Salvini, queste due categorie di persone – si parla di chi ha subito o potrebbe subire torture ad esempio – saranno escluse. Il nuovo Siproimi, inoltre, includerà solo chi ha concluso l’iter davanti alla commissione: non minore immigrazione, solo più clandestinità, si affrettarono ad osservare sindaci e operatori che con questo modello di accoglienza hanno conosciuto i gironi infernali che le norme sono in grado di imprimere a chi da un inferno è già scampato.

«L’IRREGOLARITÀ – spiega Giuseppe Cavaliere, coordinatore dell’area immigrazione del consorzio La Rada – fa diventare i migranti invisibili, li destina alla criminalità, aumentando e non diminuendo il disordine sociale che è solo il lascito di un mondo iniquo. Inoltre, da quando si è insediato questo governo, le domande dei comuni per l’istituzione di questi centri languono inevase. Prima il Viminale traduceva le candidature in progetti triennali emanando decreti due volte l’anno, in corrispondenza delle finestre aperte alle domande degli enti locali. Ora sono stati previsti solo centri per i minori non accompagnati con ricadute anche economiche». Strano destino per un paese che dice di essere al collasso, ci fa notare il presidente dell’associazione di cooperative, Elena Palma Silvestri, al quale i sindaci chiedono la possibilità di ampliare un orizzonte che ha riportato vita nei loro paesi: «Il nuovo decreto sicurezza prevede la riduzione della quota da stanziare per ogni migrante. Si privilegia un modello massificato, dove al posto degli operatori ci saranno dei mandriani. Dove non ci sarà integrazione nemmeno quando porta vantaggio al territorio. Dove non ci saranno percorsi di riabilitazione psichica o di alfabetizzazione. Noi non crediamo che questo giovi all’ordine di cui il governo dice di essere a caccia».