Accentuare il rilievo della realtà significa restituire le forme di ciò che è conoscibile, sottolinearlo e renderlo corpo vivente – nel suo tratto visibile e non. È un procedimento che ha a che fare con ciò che si dà fenomenicamente, mentre è più complesso perché il rilievo è ascrivibile alla forza del pensiero e alla modalità che ha di sporgersi sulle cose; non prima di averlo incarnato, con tutto ciò che questa esperienza determina – ed esorbita – rispetto al rigorismo che spesso si attribuisce alla postura filosofica. È la capacità che hanno avuto Simone Weil, Jeanne Hersch, Hannah Arendt e Maria Zambrano e a parlarcene è Stefania Tarantino in un libro tanto originale quanto prezioso che si intitola Chiaroscuri della ragione. Kant e le filosofe del Novecento (Guida editori, pp. 158, euro 15, con prefazione di Giuseppe Cacciatore).

HANNO ATTRAVERSATO il Novecento devastato da guerre, violenza e ingiustizia, queste pensatrici inaggirabili che hanno mantenuto tra le proprie mani i contrasti echeggiati da quei «chiaroscuri», un’oscillazione di luci e ombre a cui si può aggiungere la diade di piaceri e dolori. Non facendosi tuttavia soverchiare dalla opposizione bensì contendendone quanto di più cruciale vi sia all’orlo di quella resistenza, hanno dato strumenti per leggere le «derive dell’irrazionalità» di cui è capace la Storia. La sporgenza sul «mistero delle cose» consente oggi di approfittare di un’eredità, numinosa e salda, che ci lasciano nelle loro opere e che, in fasi specifiche, ha colloquiato con uno dei portati più ragguardevoli della filosofia moderna, quello di Immanuel Kant. Weil, Hersch, Arendt e Zambrano si sono riferite al pensatore di Königsberg riguardo la pace, l’autonomia, la forza morale, la finalità senza fine, il giudizio, la libertà, la bellezza e – ci dice Stefania Tarantino – ne hanno apprezzato lo sguardo poetico sul mondo. Non è un caso infatti che tutte le filosofe, legate insieme dall’autrice, abbiano tenuto in maggior conto la terza Critica kantiana, ovvero quella del giudizio. Eppure, nei brevi e acuminati capitoli che puntellano questi Chiaroscuri della ragione, la cura mostrata è più ampia e indica, per ciascuna, singole fasi dell’architettura filosofica che hanno portato avanti.

L’AMMIRAZIONE di Weil è segnalata in due scritti giovanili, quello su cui si sofferma Tarantino è il Commento di una nota di Kant su Poesia e Verità. Materiale preparatorio per un più lungo lavoro dedicato al tema poesia-verità che tuttavia non abbiamo a disposizione perché mai concluso. La fase adolescenziale di Simone Weil, siamo nel 1928 e la pensatrice ha 19 anni, è segnata dalla fiducia verso la filosofia come unico modo per superare i limiti della ragione.
Apprendiamo qualcosa in più del suo interesse più specifico verso la geometria che, al pari delle filosofia, è il mondo a sostenere. L’entusiasmo estetico verso la «bellezza della geometria» che, come ogni «cosa bella» è gratuita, ovvero «l’esistenza non vi ha interesse» racconta il guadagno di una lettura speciale di Kant, cioè una soglia oltre cui il pensiero razionale non può andare. All’altezza del kantiano «accordo miracoloso tra necessità e finalità», Weil intravvede l’impenetrabilità di quell’unità – simile, sia detto, alla impenetrabilità del mondo – e che non produce scacco bensì meraviglia esorbitante. Allieva di Karl Jaspers, anche Jeanne Hersch si riferisce al pensatore di Königsberg. In particolare nella sua Storia della filosofia come stupore riconoscendogli una trasformazione radicale e profonda di prospettive e concetti del pensiero filosofico occidentale. Sono le qualità del «risveglio» e dello «stupore» a interrogare Hersch là dove l’autore tedesco, accorgendosi dell’universalità e necessità del sapere scientifico, decide di indagare la condizione del conoscere. Il secondo passaggio è la posizione «ascetica» della scienza nell’incontro con l’inconoscibilità opaca del noumeno. Fenomeno e noumeno sono così i due poli entro cui si muovono nostalgia e speranza, ferocia e splendore.

TUTTO DIPENDERÀ da ciò che ciascuno e ciascuna farà in quella che Hersch chiama «ora zero», lo scoccare del presente in cui a mostrarsi è la coscienza libera (e responsabile), in cui confluiscono l’elemento materiale e quello spirituale. Si toccano. E ci chiamano, a esserci. E a saperci, aggiungerebbe Maria Zambrano, che di Kant ha apprezzato l’inaugurazione di un soggetto capace di uscire fuori di sé per conoscersi e trasformarsi.
La filosofa spagnola, che di «pensiero chiaroscurale» è stata maestra indiscutibile, si rivolge a Kant per dettagliare che la «razón racionalista» nega tutto ciò che di viscerale, passionale, intuitivo alberga nell’umano slancio vitale. E per riparare questa lacerazione che affida alla «ragione poetica» il compito di tenere insieme ragione e intuizione.
Sull’aspetto politico si è invece soffermata Hannah Arendt che al filosofo avrebbe dedicato una parte del suo La vita della mente, se la morte non l’avesse colta di sorpresa. Su questo legame ci restano le lezioni universitarie di Arendt, tenute a Chicago nel 1964 e a New York sei anni più tardi.

I PUNTI ESSENZIALI sono ascrivibili alla Critica del giudizio là dove alla solitudine dell’Uomo si sostituisce la differenza della pluralità umana che abita la terra, evidenziando la stortura di una tradizione che ha promosso il potere dell’uno sui molti, l’arroganza di ritenere la verità un privilegio ontologico a discapito degli altri.
Arendt sottolinea inoltre gli aspetti della socievolezza e della solidarietà e del pensare aperto, ampio, che aiuta a mettersi «al posto dell’altro» ridimensionando così la nostra centralità.
Se il chiaroscuro è l’arte di porre in rilievo luci e ombre, Weil, Hersch, Zambrano e Arendt hanno generato un metodo che è tonalità di pensiero di corpi al dritto e al rovescio, cominciando dai propri per proseguire con quelli della Storia. Anche leggendo Immanuel Kant. E sapendolo congedare, a tempo debito.