Composto in dodici pannelli ognuno denominato con titoli evocativi, Arruina (il Saggiatore, pp. 155, euro 20) il romanzo d’esordio di Francesco Iannone dà forma letteraria a ciò che Ernesto De Martino definì la terra del rimorso, luogo spettrale e sciamanico in cui il sud d’Italia sfugge dalla realtà e dalla sua sempre più inesauribile semplificazione e banalizzazione e si fa fiaba nera. Corpo e terra diventano un oggetto compatto e al tempo stesso sfuggente.
Arruina attinge al repertorio del nero, a tratti del macabro, con una visione mistica e sperimentale al tempo stesso del tema letterario svolto, considerato l’esordio, in maniera stupefacente al punto da restituire alla letteratura italiana contemporanea una lingua capace di superare gli sterili e stanchi confini della narrazione.
Una sfida non facile e che spesso porta verso strade chiuse in cui sguardi ambiziosi si trasformano in provinciali narcisismi autoriali, qui invece abbiamo sia l’ambizione che una degna realizzazione capace di coinvolgere chi cerca un appassionato esercizio letterario come colui che possa venire attratto dal gotico – oggi effettivamente di moda se non quasi una tendenza.

TUTTAVIA Arruina esce dalla serie di titoli (alla moda) che vivono il confine spesso labile che separa il fantasy dal distopico o il gotico dal nero; propone un testo capace di resistere a più letture proprio per la compattezza della materia letteraria di cui è composto oltre che per la precisione di un impianto narrativo pure esistente e ben consapevole che accompagna chi legge senza mai rendersi gratuitamente ostico.
Francesco Iannone rinnova così la tradizione fiabesca meridionale, aggiungendone un tassello che vive ostinatamente nel contemporaneo, che del contemporaneo parla, ma con la qualità di uno sguardo lungo che si fa debitore sì della tradizione, ma anche un raffinato interprete.
Arruina vola sotto gli occhi del lettore con le sue immagini sempre in equilibrio tra orrore e tragedia, fatte di una corporeità palpabile costruite per mezzo di una lingua pastosa eppure – ed è una piacevole sorpresa – leggera, priva degli arcaismi pseudo-sperimentali e pseudo-dialettali che non reggono la pagina e che anzi la appesantiscono.

STORIA DI UNA TRAGEDIA o meglio di un rapimento che assume la forma di un presagio e di una conseguente ricerca, inseguimento che assume i contorni di un viaggio all’interno delle paure più ancestrali e della colpa, quella della nascita e quella dell’esistenza che lega genitori e figli in un medesimo e assurdo valzer dal finale obbligatoriamente funereo.
La fiaba nera e cupa di Francesco Iannone assume così l’andamento di un percorso verso gli inferi, mischia i corpi e le menti e a tratti sembra debitore dei resoconti storici e letterari di Piero Camporesi.
Un volume colto, con un tema duro e non facilmente accettabile come quello del ratto di una bambina, ma che al tempo stesso non concede nulla restando onesto e resistente alle facili seduzioni narrative. Un romanzo maturo che pone l’autore con un’opera apparentemente fuori dal tempo saldamente nella contemporaneità.