Scuola

Nei licei occupati a Roma: «Posso parlare per chi non può, perché stare zitta?»

Il Liceo Virgilio occupato a RomaIl Liceo Virgilio occupato a Roma – Federica Rossi

Il racconto Dal Tasso al Virgilio fino al Manara: «Non abbiamo garanzie che ci ascoltino se ce ne andassimo. Non so se stiamo facendo la rivoluzione, ma da qualcosa dobbiamo partire»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 10 dicembre 2023

Quando una scuola viene occupata le pareti dei muri diventano l’espressione delle idee che hanno caratterizzato quei giorni. È come se assorbissero nella vernice gialla per mantenerle nel tempo. «Queste sono le frasi dette dai professori che ci hanno infastidite – dice Sara, rappresentante d’istituto del liceo Tasso di Roma, occupato da martedì – e i nomi scritti su quella parete sono le donne uccise, in rosso se dopo Giulia. Io ho la possibilità di parlare anche per chi non può, come faccio a starmene zitta?» si chiede Sara».

Il Liceo Tasso occupato a Roma
Il Liceo Tasso occupato a Roma, foto Federica Rossi

Sopra la sua testa pendono decine di scarpe rosse appese lungo il corrimano delle scale che collegano l’istituto al liceo Righi, da ieri disoccupato. «Abbiamo dedicato una giornata al transfemminismo, ci siamo potute raccontare ai ragazzi. Volevano capire e in quel momento mi sono sentita in un luogo sicuro. Fuori dall’occupazione questi spazi ci vengono negati». Mentre parla nell’aula 9 si tiene un laboratorio con Mediterranea, preceduto da No Name Kitchen, una Ong che opera nei Balcani, e da Meno Mali che organizza missioni umanitarie nel paese africano. «Oggi il tema è l’immigrazione, l’altro giorno l’ambientalismo. Con l’interruzione della didattica diamo la possibilità agli studenti di interessarsi a questioni che come liceo classico non abbiamo tempo di approfondire ma ci riguardano» spiega Davide.

Davanti al palazzo di Via Sicilia Pietro e Filippo (16 e 18 anni), armati di scopa e paletta puliscono la strada dai cocci di bottiglie rotte. Nella notte un gruppo di estrema destra ha lanciato delle bottiglie contro il portone facendo cadere alcune lastre che lo compongono. «Se non avessimo creato delle barricate con i tavoli avrebbero sfondato tutto, ma sono mesi che insieme al coordinamento dei licei romani ci prepariamo e siamo organizzati» commentano.

«Siamo circa 20 scuole – spiega Jacopo, nel cortile del Virgilio – se il liceo occupa da solo la rilevanza è solo interna, ma la mobilitazione di quest’anno è diversa e ci permette di fare delle richieste più ampie». Lo sguardo si allarga oltre i confini di una scuola del centro. «A me non interessa se qui non ho le stesse necessità di un istituto di periferia, non abbiamo grandi problemi di edilizia per esempio. Ma lì si, e voglio usare il privilegio di essere a contatto con la classe dirigente per cambiare le cose». «Io sono una persona non binaria e in uno spazio politicizzato posso essere me stessa, i professori non sono coscienti» aggiunge Darwin.

Entrando al Manara, lontani dal traffico che circonda il Virgilio e il Tasso, l’atmosfera distesa si riempie delle note di musica dello stereo, dalle parole di una rappresentante di Mediterranea che parla dei confini intorno a Gaza e dall’odore di vernice fresca. «Oggi stiamo riqualificando, vogliamo lasciare la scuola migliore di come l’abbiamo trovata» spiega Mattia.«La scuola è un riflesso della società» aggiunge.

Il Liceo Manara occupato a Roma
Il Liceo Manara occupato a Roma, foto Federica Rossi

Un’occupazione diventa l’occasione per disegnare modalità di socialità e apprendimento fuori da quelli tradizionali, considerati problematici. «Qui possiamo imparare la contemporaneità in maniera più orizzontale e stare insieme senza per forza consumare – prosegue Mattia – fare tutto ciò in maniera autorganizzata ci responsabilizza come giovani». Nell’istituto del quartiere Monteverde il servizio di ascolto psicologico è attivo 4 ore a settimana, offre disponibilità solo ad 8 studenti in una scuola di circa 750: «Non basterebbe un anno per parlare con tutti». «La salute mentale è uno degli argomenti che uniscono tutti» conferma Jacopo. «Sono 4 giorni che dormo con la faccia su un banco ma lo faccio perché abbiamo bisogno di un tavolo di confronto permanente con Valditara». Il Ministero avrebbe negato il tavolo finché le occupazioni persistono, «ma non abbiamo garanzie che ci ascoltino se ce ne andassimo – spiega Mattia – non so se stiamo facendo la rivoluzione, ma da qualcosa dobbiamo partire, quindi non penso accetteremo

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