Il termine adolescenza deriva, com’è noto, dal verbo adolescere, il cui significato è duplice: crescere, maturare, sviluppare, da un lato, ma anche ardere, fumare. L’adolescente è, dunque, colui che cresce e «brucia», colui che – si «infuoca» diventando adulto. Non a caso, il processo di crescita postpuberale viene definito di infiammazione e di incandescenza: a prescindere dall’epoca storica e dal luogo in cui il destino del singolo essere umano si compie. Ma è pur vero – come giustamente fa notare Massimo Ammaniti nel suo ultimo libro, Adolescenti senza tempo (Raffaello Cortina,pp. 218, euro14,00) – che sul dato strutturale di tipo organico intervengono fattori contingenti che possono alterarne le specifiche qualità.
La riflessione di Ammaniti sul fenomeno adolescenziale diventa così una opportunità per riconsiderare il delicato rapporto tra i fattori biologici e quella che Lacan definiva l’azione del Linguaggio sul vivente, alludendo ai modo in cui l’Altro (inteso come l’insieme dei valori, delle aspettative, degli ideali, dei modi di imbastire legame) disturba la predeterminazione del programma genetico.

Pubertà anticipata
A questo proposito, Ammaniti sottolinea come la comparsa dei primi segni della pubertà avvenga nelle società occidentali in netto anticipo rispetto al passato (10-10 anni e mezzo per le ragazze, 11-11 anni e mezzo per i ragazzi), come l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie sia in grado di modificare la struttura cerebrale e favorire lo sviluppo di determinate abilità (a scapito di altre), come lo stesso meccanismo di ricerca del piacere (che si lega alla produzione di dopamina) risulti condizionato dall’uso dei social media, nei quali l’urgenza di ricevere una immediata approvazione attiva meccanismi di dipendenza che – ci ricorda l’autore – non sono poi così differenti da quelli causati dal consumo di droghe.

Sebbene regolato dalle sue inesorabili leggi di funzionamento, l’organismo non può non entrare in risonanza con l’universo significante nel quale si trova. All’invariante biologico, ovvero ai requisiti trascendentali della natura umana, fa da contrappunto la plasticità delle manifestazioni fenomeniche che ne caratterizzano la comparsa.

In un’epoca, allora, in cui una specie di catastrofismo diffuso tende a giudicare, per fare un esempio, l’uso di tablet e smartphone come una cesura insanabile e irreversibile nel progresso dell’umanità, il richiamo di Ammaniti al Fedro di Platone e al Racconto d’inverno di Shakespeare – di cui riporta la nota frase: «Vorrei che non ci fosse l’età tra i dieci e i ventitré anni o che la gioventù la passasse tutta a dormire» – ha l’indubbio merito di attenuare la portata drammatica delle più affermate analisi sull’adolescenza.
In effetti, la maggiore o minore integrazione dei ragazzi nel mondo degli adulti, la capacità di uscire più o meno velocemente dall’indefinitezza che li contraddistingue, l’espansione o la riduzione del tempo necessario per accedere a una dimensione più stabile, sono tutte variabili mutanti al mutare della Storia: e destinate, perciò, a ulteriori evoluzioni.

Citando Platone, Ammaniti ricorda al lettore come preoccupazioni analoghe a quelle che turbano chi si interessa al rapporto tra tecnologia digitale e il mondo infantile-adolescenziale, erano già presenti nel mondo greco, riferite, a quel tempo, allo sviluppo della scrittura, la nuova téchne accusata di «provocare dimenticanze in chi la usa, perché non viene esercitata la memoria».

Spie di un disagio sociale
Con provvidenziale acume, l’autore nota come «probabilmente in un futuro neppure troppo lontano, anche la téchne digitale potrà entrare a far parte del patrimonio umano e non verrà più considerata qualcosa di estraneo». Chi vent’anni fa dava per insuperabile la condizione dell’adolescente tipica dell’era berlusconiana (l’edonista tutto dedito al piacere e al godimento senza limiti) avrà dovuto oggi ricredersi nell’incontrare sempre più spesso adolescenti depressi, spaesati, angosciati, «appanicati», ansiosi, disorientati, disincantati e nichilisti, sfiancati dalla più grande crisi economica (e sociale) degli ultimi decenni. E chi aveva pensato che il tramonto del patriarcato avesse irrimediabilmente destabilizzato l’esistenza delle generazioni future, dovrà prendere atto del rigurgito autoritario e identitario che il mondo occidentale sta affrontando e dei suoi effetti (ancora sconosciuti) sulla edificazione dell’Io in chi cresce in un clima di riaffermazione del potere di Dio, della Patria e della Famiglia.

L’adolescente, in questo senso, sembra avere la capacità di portare alla luce il fantasma inconscio che agita la collettività, offrendosi come una sorta di cartina di tornasole dello spirito del tempo, che denuncia le intenzioni sommerse del mondo adulto, prima ancora di entrarne in contrasto. Le patologie dell’adolescente sono le patologie della società in cui vive: il suo disagio è il disagio della comunità di cui è figlio. L’adolescente ci indica, allora, la forma che assume, di volta in volta, questo disagio: perché lo vive in presa diretta, senza le mediazioni che intervengono nell’età adulta.

Sponde comportamentali
Le osservazioni che Ammaniti raccoglie attraverso l’ascolto dei suoi giovani pazienti, sembrano segnalare le varie declinazioni dell’influenza che la società dello spettacolo esercita sui ragazzi: ed è, in effetti, la riduzione dell’esperienza a scenario di promozione della propria immagine ciò che più accomuna le varie manifestazioni. Trattare se stessi come merce desiderabile sovraesponendosi nei selfie o, all’estremo opposto, ribellarsi a questa deriva alienante barricandosi in casa e sfuggendo al contatto con gli altri, sono le due sponde comportamentali tra le quali gli adolescenti sembrano attualmente rimbalzare. Sullo sfondo, l’imperativo spettacolare che traduce la realtà in reality: forse l’eredità più pesante che il mondo degli adulti dell’epoca postmoderna è stato in grado di lasciare ai propri figli.