Sprizza di felicità Jennifer (la chiameremo così), 32 anni, non sta ferma sulla sedia mentre ci racconta il suo progetto per il futuro: vuole far venire in Italia il suo bambino di 7 anni, che non vede da quando è parita dalla Nigeria nel 2016, adesso che ha un contratto di lavoro e una casa, la stabilità che le consentirà di ricongiungersi con il figlio. A Foggia è arrivata 2 anni fa, dopo lo sbarco in Sicilia, vari passaggi in diversi centri di accoglienza e infine lo Sprar di Candela. «A dicembre sarei dovuta andare via», racconta, «non avevo idea di che cosa avrei fatto, poi mi hanno offerto questo lavoro ed è cambiato tutto: sono felicissima».

Il lavoro è arrivato grazie al progetto Donne Anti-Tratta di No Cap, la filiera etica anti-caporalato che sfida i rapporti di forza nelle campagne e tra le campagne e la distribuzione. No Cap propone un modello etico e sostenibile di filiera agroalimentare: mette insieme lavoratori, produttori e distribuzione. I braccianti sono assunti con contratti regolari e le aziende sono messe in contatto con la distribuzione che acquista i prodotti a un giusto prezzo. Sugli scaffali arrivano i prodotti a marchio Iamme e tra questi ci saranno anche i broccoli dell’azienda Op Principe di Puglia. È nel loro impianto di trasformazione che lavorerà Jennifer insieme con altre 7 donne del progetto, in maggioranza migranti vittime di tratta che hanno vissuto nei tanti ghetti del foggiano, molte divise tra il lavoro nei campi e la prostituzione. Tra loro c’è anche un’italiana, Maria (nome di fantasia), 51 anni, arrivata a Foggia 10 anni fa dopo una vita da «vagabonda» – racconta – «ho girato l’Italia entrando e uscendo dai collegi sin da quando ero una ragazzina e sono andata via di casa. Sono sempre riuscita a provvedere a me stessa, ma di recente sono finita a vivere per strada. È estenuante, ogni giorno lotti per mangiare e per lavarti, non vai né avanti né indietro. Questo progetto mi aiuta a rialzarmi, vivrò in un posto pulito e il lavoro mi consentirà di affittare una casa tra qualche mese. So che la mia vita sarà sempre dura, ma sarà dignitosa».

LAVORO E ALLOGGIO, sono i due pilastri di questo progetto dedicato alle donne vittime di tratta o in situazioni di abbandono. Claudio Cericola, di Fratelli della Stazione, un’associazione che da vent’anni lavora con i senza fissa dimora a Foggia, non ha dubbi: «L’alloggio è la chiave di volta per queste persone. Oltre a Maria, abbiamo segnalato a No Cap una ragazza madre marocchina e una giovane nigeriana, entrambe ad alto rischio di finire sulla strada». Gli alloggi li ha messi a disposizione la Comunità Emmaus, un’esperienza ventennale con le dipendenze e l’accoglienza. «Per quattro mesi avranno un appartamento nel Villaggio Don Bosco» – spiega Don Vito – «Saranno totalmente autonome e pagheranno le bollette, perché dobbiamo evitare di cadere nell’assistenzialismo, l’obiettivo è restituire dignità alle persone».

IL PROGETTO DONNE ANTI-TRATTA di No Cap ha coinvolto diverse realtà associative del foggiano, una terra difficile, caratterizzata da una «zona grigia» che secondo Don Vito è molto ampia: «È una zona popolata da italiani e migranti, fatta di usura, caporalato, lavoro nero, droga, prostituzione e illeciti di vario tipo. Ci si entra e ci si esce a seconda dei compromessi che si vuole o si è costretti a fare, come succede, per esempio, nel caso di imprenditori agricoli che si rivolgono ai caporali quando non riescono a far quadrare i conti». La Capitanata, con la sua distesa sconfinata di campi, cuore della produzione agricola nazionale, è anche terra di caporalato e di sfruttamento del lavoro, come è emerso da diverse operazioni della task force anti-caporalato (Procura di Foggia, Arma e Nucleo ispettorato del lavoro) negli ultimi anni. La svolta nel contrasto al caporalato, secondo molti, è avvenuta nel 2018, dopo la doppia strage di braccianti migranti: 16 lavoratori morti a distanza di 48 ore in due incidenti stradali, mentre viaggiavano stipati nei furgoni dei caporali che li avevano portati nei campi. Dal 2019, inoltre, nel foggiano è stata applicata la misura dell’amministrazione giudiziaria alle aziende scoperte a sfruttare i lavoratori: un commissariamento dell’impresa, con la nomina da parte della magistratura di una persona che deve regolarizzare i rapporti di lavoro e far rispettare le norme a tutela dei lavoratori.

«L’inserimento nel mondo del lavoro è l’obiettivo delle attività» – spiega Paolo Cerrone dello Sprar di Candela – «purtroppo non riusciamo a dare questa certezza a tutte le donne che accogliamo e quando terminano questo percorso di formazione rischiano di finire sulla pista». La «pista» è borgo Mezzanone, il più grande ghetto d’Italia, ex pista militare. Un ammasso di lamiere, privo di servizi, in cui si perdono centinaia di migranti, molti irregolari, che diventano facili prede dei caporali, ma anche manovalanza delle organizzazioni criminali. Per le donne tra queste baracche si annida lo sfruttamento sessuale. Secondo le stime della Cooperativa MedTraining, ente gestore del progetto regionale La Puglia non Tratta, sulle strade del foggiano ci sono dalle 400 alle 500 donne. «Sono soprattutto rumene, bulgare e nigeriane, e queste ultime nelle maggior parte dei casi non hanno documenti in regola, quindi sono più ricattabili» – spiega Roberto Lavanna, coordinatore di MedTraining che ha segnalato due ragazze a No Cap. «Il lavoro è fondamentale per tirarle fuori dallo sfruttamento, che sia lavorativo o sessuale», conclude. «Dobbiamo tirare fuori i migranti dai ghetti» – spiega Francesco Strippoli di No Cap – «per farlo nei nostri progetti ci sono sempre trasporto e alloggi. Le otto donne del progetto avranno la casa e andranno al lavoro con un nostro minivan, guidato da un migrante. Così sottrai la manodopera ai caporali: con la certezza dell’orario di lavoro e con il trasporto gratuito e sicuro. Abbiamo iniziato con otto persone perché al momento abbiamo un solo mezzo, ma l’obiettivo è ampliare il progetto». La paga per sei ore e mezzo di lavoro è di circa 45 euro netti, il doppio di quanto in media paga un caporale e con molte meno ore di lavoro. Per la Op Principe di Puglia il vantaggio dell’accordo con No Cap è triplo, spiega il responsabile commerciale e marketing Giuseppe Maffia: «Facciamo impresa sociale, quindi prendiamo una posizione chiara contro il caporalato; grazie alle relazioni commerciali di No Cap acquisiamo clienti che prima non avevamo; infine, c’è la leva del marketing, apporre il marchio No Cap sui nostri prodotti è un vanto». Nelle filiere No Cap nessuno deve sottrarre guadagno all’altro per restare sul mercato. «È l’unico modello possibile», conclude Francesco Strippoli.