A due giorni dalla prima chiama per l’elezione del presidente della Repubblica, e alla vigilia dell’ultima assemblea dei grandi elettori del Movimento 5 Stelle prima del voto, l’episodio rivela più la balcanizzazione dei grillini che un possibile sbocco dallo stallo sul Quirinale. L’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro sarebbe andato da Matteo Salvini a offrirgli un pacchetto di qualche decina di voti per eleggere l’ex ministro berlusconiano Giulio Tremonti: uno schema che rimanda a una sorta di ritorno di fiamma in piccolo tra Lega e una parte del M5S.

Secondo le indiscrezioni, smentite dai protagonisti, Fraccaro portava in dote anche i voti degli esponenti di Parole Guerriere, in particolare quelli dei sottosegretari Carlo Sibilia e Dalila Nesci. Si tratta della prima corrente formalizzata del M5S che prima dell’elezione di Conte ha lavorato esplicitamente per un’evoluzione verso una forma organizzativa più tradizionale, che raccoglie anche alcuni dei parlamentari considerati più vicini a Roberto Fico e che in verità dopo aver lanciato la filiazione «Italia più 2050» è in sonno da tempo. Sibilia e Nesci negano ogni adesione alle manovre di cui sopra. Di certo è difficile che gli altri eletti che si muovono nell’orbita del presidente della Camera scelgano di gettarsi a destra, tra le braccia di Salvini per votare il sovranista Tremonti.

La manovra, tuttavia, conferma la scomposizione interna delle aree di appartenenza grilline. Fraccaro, storicamente legato a Di Maio e adesso dato vicino ai nordisti al primo mandato del gruppo «Innovare», avrebbe agito in un quadro completamente indecifrabile rispetto alle pur labili categorie interne del M5S. «Fosse vero, uno di ‘Innovare’ che si vende i voti di ‘Italia Più 2050’ sarebbe una dichiarazione di guerra», sintetizza il presidente della commissione affari costituzionali della camera Giuseppe Brescia nella chat che era di Parole Guerriere. Conte ha intenzione di istruire un procedimento nei confronti di Fraccaro, che fa parte lui stesso del collegio dei probiviri. È poco probabile che si arrivi davvero all’espulsione di un personaggio di primo piano, che viene considerato il padrino di quel Superbonus sulle ristrutturazioni che è divenuta la misura bandiera dei 5 Stelle nel governo Draghi. Ma il leader vuole mandare un segnale a chi mina l’unità interna.
La smentita di Fraccaro contiene un messaggio preciso sulla possibilità che la spunti Di Maio e chealla fine si converga su Draghi: «Sta montando, e il mio caso ne è un esempio, un clima estremamente preoccupante e velenoso intorno all’elezione del Presidente della Repubblica – dice – Perciò, vorrei sgombrare subito il campo da ogni dubbio dicendo che non voterò mai Mario Draghi».

Il caos cova sotto una calma tesa e irreale, fatta di conciliaboli e sottogruppetti. L’assemblea dei parlamentari del Movimento 5 Stelle di giovedì sera ha fotografato una situazione all’apparenza cristallizzata. La maggior parte degli intervenuti si è schierata contro l’ipotesi Draghi, che viene considerata un salto nel buio. Con qualche eccezione: è il caso di Stefano Buffagni che ha invitato a considerare il «profilo di altissimo livello» dell’ex presidente Bce ma ha anche precisato: «Serve in ogni caso accordo di governo e sul proporzionale».

I più scafati non escludono che la spunti ancora una volta Luigi Di Maio, che ormai da giorni lavora nell’ombra sul doppio fronte del governo e del Quirinale e che quando sarà il momento giocherà le sue carte per far schierare i 5 Stelle ancora una volta con la maggioranza, se si dovesse decidere di spedire l’attuale presidente del consiglio al Colle. Se questo è il contesto, è impossibile non considerare il campanello d’allarme per i vertici rappresentato dall’attivismo di Fraccaro.