Chiude il centro di ricerche farmacologiche e biomediche Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro (Chieti). E con esso viene cancellata una realtà importante, la più importante, della ricerca in Abruzzo e nel Meridione d’Italia. «Il fiore all’occhiello», a detta dei tanti politici – di destra, centro e sinistra – che hanno sfilato nella sede dell’istituto, soprattutto durante le campagne elettorali. Ma chiacchiere a parte, nulla hanno concretamente fatto per evitare il peggio.

E ieri, in tutta fretta, dopo anni di promesse e di appelli, sono arrivati i commissari liquidatori e in una manciata di minuti hanno mandato via i circa 130 dipendenti – cassaintegrati, ricercatori, anche non strutturati, borsisti, tecnici, personale di supporto – che hanno dovuto raccattare i beni personali, impacchettarli e lasciare il proprio posto di lavoro, probabilmente per sempre. «Abbandonati, ci hanno riempito solo di parole», affermano i ricercatori in lacrime mentre si allontanano con gli scatoloni zeppi.

Un dramma. «Sono venuti qui a fare propaganda – tuona il custode della struttura -. Da diciotto mesi siamo senza stipendio e ora ci cacciano… Sono alla fame, che cosa racconterò ai miei figli? Ora vado sul tetto e mi butto…». «Non sappiamo – aggiunge un ricercatore – se ci spetteranno disoccupazione e Tfr, sembra che la trasformazione in Fondazione abbia messo a repentaglio anche diritti acquisiti. E’ una vergogna». «Ricordo – gli fa eco un collega – quando oltre 25 anni fa venne Silvio Garattini, del Negri di Milano, a dire… ’Abbiamo istituito questo bell’istituto per il Sud e per i giovani del Sud’: adesso questi ragazzi hanno 50 anni, famiglie a carico e non sanno che fare… Sono diperati. Grazie Silvio…».

Lasciati soli: dal Negri di Milano, che non si è speso più di tanto per salvare una realtà preziosa che però, anche per mala gestione, ha accumulato circa 9 milioni di debito; dalla Regione che non ha prodotto alcun intervento risolutivo; dalla Provincia di Chieti che, anzi, attuando la trasformazione del consorzio in fondazione, ha peggiorato una situazione già compromessa. «Sono centinaia le persone che si sono formate qui e hanno trovato modo di inserirsi in realtà di ricerca e di lavoro in Italia e all’estero. Ed ecco come siamo finiti. Ecco come si annienta l’operato di una vita, di tanti professionisti».

L’istituto ha rappresentato l’eccellenza soprattutto nel settore della prevenzione e della cura delle patologia del cuore. Gli ultimi studi che hanno fatto il giro del mondo sono del giugno scorso, quando i ricercatori della Fondazione, insieme all’Università del Kentucky, hanno individuato un nuovo «bersaglio farmacologico per controllare l’infiammazione nella malattia cardiovascolare» e in particolare dell’insorgere di aterosclerosi o vasculite. Sembrava riaccendersi una speranza, dopo l’ennesimo riconoscimento internazionale. Invece l’impegno di enti e istituzioni non è stato sufficiente ad assicurare l’uscita dal baratro. I sindacati, Cgil e Cisl, nonostante gli sforzi profusi e le sollecitazioni di un tavolo ministeriale che affrontasse seriamente la questione, nulla hanno potuto.

I piani di rilancio che si sono susseguiti tra le proteste? Carta straccia. Ieri mattina l’epilogo, doloroso per tanti. Mentre la Regione sfornava inutili comunicati.