La disponibilità del presidente Duque a negoziare con i manifestanti è evidentemente solo a parole. «Oggi aspettavamo una risposta alla nostra richiesta di garanzie sul diritto alla protesta per poter dare inizio al negoziato, e il governo ha detto no a tutto», ha denunciato il Comité del paro al termine della seconda giornata di dialogo, convocando per oggi una nuova giornata di mobilitazione nazionale.

SE UNA RISPOSTA C’È STATA, è venuta piuttosto dalla «brutale violenza della polizia» a Yumbo, nel Valle del Cauca, dove, benché fosse già stato fissato un incontro tra il sindaco Jhon Jairo Santamaría e i manifestanti impegnati a bloccare le vie di accesso al municipio, gli agenti dell’Esmad hanno preferito risparmiare tempo sgomberando i blocchi stradali con la violenza. E il bilancio, ha denunciato il comitato, è stato di «almeno due vittime, 24 feriti e 18 desaparecidos».

Tra le persone che risultano scomparse c’è anche Jenny Paola Cano, prelevata illegalmente dalla sua abitazione da agenti dell’Esmad, come appare in un video divulgato lunedì dalla Commissione di Giustizia e Pace della Colombia. Ma è in molte città che arrivano denunce di irruzioni della polizia nelle case dei manifestanti e di arresti arbitrari di giovani attivisti e leader sociali, di diversi dei quali non si hanno più notizie. Nessuna certezza, peraltro, sul numero dei desaparecidos: secondo i dati ufficiali della Procura generale, sarebbero 134 le persone che risultano ancora scomparse, ma potrebbero essere molte di più.

Sordo alle richieste dei manifestanti e per nulla toccato dalle denunce per crimini di lesa umanità presentate contro il suo governo alla Corte penale internazionale e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, Duque ribadisce, al contrario, che «in Colombia esistono piene garanzie all’esercizio della protesta».

«QUI NON CI SONO DITTATURE né oppressione», ha dichiarato il presidente, denunciando dietro ai blocchi stradali «il chiaro interesse criminale di sabotare l’economia e lo sviluppo sociale della popolazione». Da qui l’ordine alle forze di sicurezza di dispiegare la loro «massima capacità operativa» per sgomberare le strade bloccate dai manifestanti», naturalmente nel «rigoroso rispetto dei diritti umani».
«La risposta alla richiesta di garanzie è quella della terra bruciata contro la mobilitazione nazionale», hanno commentato i rappresentanti del comitato, malgrado avessero già garantito l’apertura di corridoi umanitari per non mettere in pericolo la vita, la salute e l’alimentazione del popolo colombiano.

E se giovedì le parti si incontreranno nuovamente, il Comité del paro non si muove dalla sua posizione: non è possibile dare avvio al negoziato, ribadisce, finché il governo non metterà fine alla violenza.

TRA LE RICHIESTE PRESENTATE, il ritiro dell’esercito e dell’Esmad dalle strade, l’obbligo per la polizia di astenersi dall’uso di armi da fuoco, lo stop agli arresti indiscriminati, la protezione dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani. Ma anche la condanna esplicita da parte del presidente degli abusi commessi dalle forze di sicurezza e la garanzia che non resteranno impuniti, l’adozione di misure contro la violenza sessuale, la creazione di meccanismi di riparazione per le vittime, l’avvio di un processo di riforma della polizia nazionale.

SOLO NEL MOMENTO IN CUI il governo cederà su tali punti sarà possibile, secondo il comitato, iniziare il negoziato vero e proprio sulle richieste contenute nel suo pacchetto di emergenza, benché l’avvio del processo non comporterà automaticamente l’interruzione delle proteste.