Decapitazioni, stupri, torture: è questo il volto di Yarmouk sotto lo Stato Islamico. Ad un anno dall’ingresso degli islamisti nel campo profughi palestinese a sud di Damasco e la successiva ritirata su spinta dei gruppi armati palestinesi, l’Isis rientra nel luogo simbolo della diaspora palestinese con il suo bagaglio di violenze. Da alcuni giorni Yarmouk è teatro degli scontri intestini tra Isis e al-Nusra, un fuoco incrociato che costringe le famiglie ancora residenti nel campo a nascondersi in casa.

Nonostante ciò, riportano fonti a Yarmouk, sono già cinque le vittime della faida, tra loro due bambini. Ma a tracciare il quadro più drammatico è l’Olp: secondo Anwar Abdel-Hadi, rappresentante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Siria, l’Isis controlla oggi il 70% del campo e i suoi 3mila uomini stanno punendo i pochi residenti (15-16mila contro i 180mila precedenti al 2012) con torture, omicidi, abusi sessuali. Sarebbero, dice Abdel-Hadi, una ventina le persone uccise per decapitazione.

Secondo media locali il governo di Damasco sta lavorando con i gruppi palestinesi del campo per evacuare alcune famiglie, ma gli scontri armati impediscono per ora di intervenire. È invece terminata l’evacuazione organizzata dalle Nazioni Unite di circa 500 feriti da quattro città siriane, sotto assedi diversi: Madaya e Zabadani circondate dal governo, Fuaa e Kefraya sotto assedio delle opposizioni armate.

Le quattro comunità sono state raggiunte da autobus dell’Onu: «[L’operazione] è stata completata con successo – ha commentato Jan Egeland, presidente della task force umanitaria dell’Onu in Siria – Sono stati negoziati difficili, andati avanti per molto tempo». Perché le due parti – governo e opposizioni – hanno chiesto che il numero degli evacuati fosse identico, 250 per fronte.

Ma è una goccia nel mare della guerra civile che prosegue, nonostante la tregua, a Ginevra. Ad una settimana dal lancio del secondo round di negoziati le due parti sono più distanti che mai. Venerdì le opposizioni riunite sotto l’ombrello saudita dell’Hnc hanno sospeso la propria partecipazione a causa delle violazioni del cessate il fuoco imputate al governo, tra cui il bombardamenti di due comunità nella provincia di Idlib che hanno ucciso 44 persone. Ieri hanno annunciato che se ne andranno oggi: lo ha fatto sapere: negoziato chiuso.

Da parte sua Damasco insiste: disponibilità a formare un governo di transizione con membri del governo e delle opposizioni, tecnici e figure indipendenti ma nessun dialogo è possibile se si esclude il presidente Assad. Così il governo accusa l’Hnc di «immaturità e teatrino assurdo» e le opposizioni accusano Damasco di violazioni della tregua.

Uno scontro verbale a cui ieri il ministro degli Esteri siriano al-Muallem ha aggiunto l’ultimo tassello, avvertendo dell’intenzione di proseguire, parallelamente al dialogo, con la lotta al terrorismo, per poi accusare la Turchia di continuare ad armare i gruppi islamisti con armi altamente tecnologiche. Di certo la Turchia un ruolo centrale lo gioca ancora, bloccando la partecipazione dei kurdi siriani del Pyd al tavolo svizzero. Ieri l’Hnc ha finto di aprire a Rojava: potete partecipare, ha detto la leadership delle opposizioni, solo nel caso di rottura ufficiale con il governo siriano con cui le Ypg kurde coordinano in parte le proprie azioni anti-Isis a nord.

Eppure ieri a Qamishli erano kurdi e forze governative ponevano fine alla tregua bilaterale e si scontravano per il controllo della città, mentre le Ypg annunciavano la nascista di una nuova forza militare, Autonomous Protection Force, responsabile della difesa della regione federale creata il mese scorso.

Il nord resta zona caldissima e svela la faccia dell’Ankara che ha siglato con l’Europa un accordo da 7 miliardi per fermare i rifugiati diretti in Grecia: ieri l’esercito turco ha aperto il fuoco e ucciso 8 profughi, donne e bambini, che tentavano di passare la frontiera.

Niente di nuovo sotto il sole, quindi, se si escludono i movimenti sul terreno. Secondo quanto dichiarato da fonti Usa al Wall Street Journal, l’esercito russo ha trasferito unità dell’artiglieria a nord, nella zona di Aleppo, in previsione della controffensiva. Una mossa che segue alle indiscrezioni rese note la scorsa settimana dallo stesso quotidiano: la Cia, con le intelligence dei paesi arabi alleati, ha imbastito un piano B nel caso di fallimento del cessate il fuoco. Ovvero, più armi da inviare alle opposizioni.