«Un aeroporto palestinese qui a Kalandia? Ah, uno nuovo…mah, si dicono tante cose che poi non si fanno. L’anno scorso abbiamo festeggiato l’ingresso del nostro Stato (alle Nazioni Unite) e poi non è cambiato nulla». Maher Abdel Hadi non spende più di un paio di frasi per commentare la ripresa delle trattative dirette tra Israele e Autorità nazionale palestinese (Anp), annunciata venerdì sera dal Segretario di Stato John Kerry. Con un grosso martello torna a battere forte sul cerchione di una ruota da riparare. Maher non crede più alle promesse politiche ed economiche degli americani. E anche a quelle dei leader dell’Anp. Sembra destare il suo interesse solo la possibile scarcerazione di detenuti politici. «In prigione (in Israele) – spiega – c’è il fratello di un mio amico. Non ha ucciso nessuno ma gli hanno dato da scontare dieci anni di carcere, spero di rivederlo libero, magari festeggeremo assieme la fine del Ramadan».

La scarcerazione di 350 prigionieri politici rientra in quel pacchetto di richieste fatte dai palestinesi per tornare al tavolo delle trattative. Kerry ha promesso di tutto al presidente Abu Mazen pur strappargli il via libera alla ripresa dei colloqui diretti con Israele, fermi da quasi quattro anni. Ma sulla carta non c’è nulla e la leadership dell’Anp ha scelto di nuovo di giocare al buio, rinunciando a una condizione fondamentale come lo stop della colonizzazione israeliana, e aggirando il “no” al negoziato senza garanzie pronunciato giovedì dai vertici di Fatah e dal Comitato esecutivo dell’Olp. Oltre al “Piano Marshall” per i Territori occupati da 4-5 miliardi di dollari ipotizzato da Kerry, l’Anp ha chiesto anche un aeroporto per velivoli leggeri ed elicotteri nei pressi di Ramallah, il rilancio delle esplorazioni di gas naturale davanti alle coste di Gaza, la costruzione di centri turistici sulle rive del Mar Morto e l’aumento del numero dei permessi di lavoro in Israele per i manovali palestinesi. Il governo del premier Netanyahu si dice pronto a discutere di tutto ma senza precondizioni, perciò non ha promesso nulla e i giornali locali tendono ad escludere che le richieste e economiche palestinesi siano accettate dal primo ministro. Il rilascio dei detenuti, ad esempio, da un lato è stato confermato da Israele e dall’altro fortemente ridimensionato. Il ministro per l’intelligence Yuval Steinitz ieri ha detto che sarà liberato un numero “limitato” di prigionieri, non certo 350. In ogni caso è da escludere il rilascio di Marwan Barghouti, il “Mandela palestinese”.

Secco perciò il giudizio espresso da Jamil Mezher, un portavoce del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, la principale forza della sinistra palestinese), secondo il quale la scelta di tornare senza garanzie al negoziato bilaterale «danneggia in modo grave la causa palestinese». «Venti anni di negoziati inconcludenti e assurdi con Israele non hanno portato a nulla e hanno solo aiutato l’occupante ad attuare i suoi piani di espansione territoriale e coloniale. Quella presa dai vertici dell’Anp potrebbe rivelarsi una scelta tragica per il nostro popolo», ha spiegato Mezher. Secondo Mustafa Barghuti, presidente del partito progressista “Mubadara”, i colloqui sono destinati a fallire perchè «l’attuale esecutivo israeliano è un governo di coloni e non riconoscerà mai il diritto dei palestinesi all’indipendenza, a porre fine all’occupazione e all’autodeterminazione». Dura la reazione del movimento islamico Hamas che ritiene «molto pericolosa» la ripresa dei colloqui. Per il portavoce Sami Abu Zuhri, la decisione di Abu Mazen «contraddice» i principi del «consenso nazionale» raggiunto dalle fazioni palestinesi.

In casa israeliana i giudizi non sono molto diversi da quelli espressi dai palestinesi. Basti pensare che il premier Netanyahu e il suo governo ieri sera non avevano ancora commentato ufficialmente l’annuncio fatto da John Kerry. E non certo a causa dello shabat, il giorno di riposo ebraico. La destra che domina il governo è ardentemente sostenitrice della colonizzazione dei Territori occupati e non sente alcun bisogno di negoziare con i palestinesi. Ma, per ovvie ragioni, non ha potuto rispedire al mittente il Segretario di stato. Gli unici ministri che hanno espresso soddisfazione sono quelli del partito centrista “Hatnua”, Tzipi Livni, impegnata a partire dalla prossima settimana nei colloqui a Washington con il negoziatore palestinese Saeb Erekat, e Amir Peretz, un ex ministro e leader laburista. Dai banchi dell’opposizione l’attuale presidente laburista Shelly Yechimovic ha applaudito alla svolta e altrettanto hanno fatto i dirigenti del Meretz (sinistra sionista). Qualcuno ipotizza persino un ribaltone: se la destra estrema di Naftali Bennett (Habayit HaYehudi) dovesse uscire dal governo in polemica con i negoziati, si aprirebbe lo spazio per l’ingresso dei laburisti. Ma un favore così grande ai suoi avversari Netanyahu non lo farà mai.