La smentita da parte di Asia Argento è arrivata ieri in serata, attraverso una nota del suo legale. «Nego e respingo», è apodittica l’attrice e regista che rifiuta di essere trascinata in questa accusa fattale da Jimmy Bennett. Ma non si ferma, Asia Argento, e propone un’altra storia. Non dei fatti che ritiene non si siano in alcun modo verificati, bensì del rapporto con Bennett. Racconta di quando insieme al suo compagno – scomparso di recente – Anthony Bourdain hanno ricevuto una richiesta di denaro da parte del giovane attore. E di come, per fare seguito alle preoccupazioni di Bourdain, abbiano preferito «trattare» per evitare ritorsioni nei riguardi della propria reputazione. In particolare quella dello chef, compagno di Argento.

IL «New York Times», in risposta a all’Ansa, replica brevemente che le fonti e i documenti in loro possesso dicono tutt’altro. La vicenda appare priva di qualsiasi rilievo discutibile politicamente. Se non fosse per quella parola piccola ma che si conficca come un punteruolo nella cattiva coscienza di commenta in questi giorni su social e carta stampata. «Persecuzione», nel senso che Asia Argento si sente perseguitata e dice che provvederà nelle sedi appropriate a difendersi. Eppure di quella «persecuzione», discutibile o meno nel caso specifico e tenendo conto di ciò che è accaduto o meno, possiamo farcene qualcosa anche noi.

Si tratta infatti di un pruriginoso senso del giudizio morale, quando a essere messa in piazza è qualcosa che ha a che vedere con la sessualità. In questo caso che l’accusata sia una donna assume certo una differenza ma non ve ne è nessuna, nel giudizio medio della pubblica opinione, rispetto a quando è stata lei la vittima dichiarata di abuso. Ritenuta colpevole all’origine sia nel primo caso che nel secondo. Colpevole di un immaginario, ma fin troppo scadente per frequentarlo, anche solo per dire che è inaccettabile.

In questa moltiplicazione di sconcezze linguistiche, molte sono state le considerazioni sui quotidiani di destra, aperture intere dedicate puntualmente al ritratto di una donna che da abusata è «sicuramente» divenuta abusante, sterzando in scorciatoie pseudo-psicoanalitiche da quattro soldi (visto che sono questi, in fondo, gli unici che ci si ostina ancora a contare invece della complessità delle relazioni e della scivolosità dell’argomento), passando poi per una disquisizione della sessualità meccanica maschile che si nutre proprio di donne mature disposte graziosamente alle gioie di giovani e virili polluzioni. Insomma, da qualsiasi punto di vista si voglia considerare la vicenda, la speranza è che a venire perseguitate e perseguitati da simili paccottiglie non ci si trovi improvvisamente a essere noi. Perché in un caso simile si sarebbe costrette a chiedere almeno pietà, basta.