In Italia il 50% dei posti letto internistici è occupato da pazienti Covid, dieci punti sopra la soglia limite del 40%: sono i dati aggiornati a ieri dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Ma il sindacato dei medici Anaao Assomed invita a elaborare i numeri in un modo differente. Innanzitutto la fotografia di dov’era il Sistema sanitario nazionale a inizio pandemia: «Nel 1998 i posti letto negli ospedali erano 311mila. Nel 2007, anno immediatamente a ridosso della crisi economica che ha innescato la successiva austerity, erano ridotti di circa 90mila unità e nel 2017 erano circa 190mila. In Italia, partendo dal 5,8 per mille abitanti del 1998, siamo arrivati al 3,2 attuali contro una media Ue vicina a 5. Nel 2017 l’indice di occupazione dei posti letto in ospedale per i casi acuti era del 78,9%, contro una media Ocse del 75,2%. Con il blocco del turn over il carico di lavoro per i medici è schizzato al 115%, poi è arriva il virus ed è salito al 150%». Assumere altro personale è quasi impossibile vista l’errata programmazione e un decennio di tagli.

L’INDICE DI OCCUPAZIONE dei letti nei reparti internistici secondo l’Anaao va calcolato con un metodo differente, come spiega lo studio diffuso ieri. Lombardia: l’11 novembre l’Agenas pubblicava un tasso di saturazione dei posti letto con pazienti Covid al 75%, con 6.907 ricoverati e 9.209 posti letto totali. «Solo un giorno dopo la percentuale crollava al 50%, il numero di pazienti ricoverati era lievemente più alto (7.047) e venivano dichiarati 14.449 posti letto internistici totali. È inverosimile che la regione abbia creato un numero consistente di posti letto dal nulla senza convertire quelli di altre specialità». Attualmente i posti letto internistici sono saturati al 54% con malati Covid. «Se rapportassimo i ricoverati Covid al 16 novembre con i posti letto internistici al 2018, avremmo un tasso di saturazione del 128,8%».

IL SEGRETARIO NAZIONALE Anaao Assomed Carlo Palermo spiega: «L’incremento di posti è reale ma avviene attraverso la netta riduzione negli altri reparti, sottraendo cioè letti a ortopedia o chirurgia generale. Se allarghi l’area Covid assorbendo i posti delle specialistiche modifichi l’indice allargando il denominatore e la percentuale di saturazione diventa più bassa. La prima conseguenza è che il resto delle patologie hanno difficoltà a entrare nel sistema delle cure, stiamo preparando la seconda epidemia dei malati non Covid. Nella prima ondata abbiamo già avuto 13 milioni di visite specialistiche rinviate, 500mila interventi chirurgici rimandati, 1 milione 400mila screening oncologici non effettuati. Tutto questo lo pagheremo in termini di peggioramento delle prognosi. Inoltre l’Anaao ha mandato una diffida perché i medici siano tutelati da un ordine di servizio quando vengono dislocati, altrimenti sono esposti sul piano legale per essere intervenuti in un ambito specialistico differente dal proprio. Quando i governatori scrivono “letti attivabili” dovrebbero aggiungere che sono necessari uno specialista e 3 infermieri a turno ogni sei postazioni».

CON IL METODO DEL SINDACATO, le strutture sanitarie laziali si trovano con i posti letto internistici saturati al 50% dai malati Covid, ma rapportato al 2018 il tasso di saturazione è del 91,4%. La Campania dal 50% passa all’87%. La Sicilia dal 36% al 73,3%, il Veneto dal 33% al 64,3%, il Piemonte dal 93% al 191%. La Liguria dal 73% al 117,7%. La Valle d’Aosta dall’80% schizza al 228,8%. «La mancanza di posti letto per acuti, soprattutto nelle branche internistiche, è stato uno dei motivi che negli ultimi anni ha portato il sistema dei Pronto soccorso in grave sofferenza, ancora prima del 2020 – prosegue Palermo -. Le regioni che sono state in piano di rientro hanno sofferto di più in termini di dotazione di personale e posti letto. La Campania aveva circa 2 posti letto pubblici per mille abitanti nel 2018, l’Emilia Romagna era al 3,5. Il calo del personale degli ultimi dieci anni (43mila unità in meno) è concentrato soprattutto in Campania, Lazio, Calabria, Sicilia e Molise».

Con gli ospedali stravolti per affrontare l’emergenza, le malattie tempo dipendenti sono quelle che soffrono un impatto più forte: «Prendiamo ad esempio l’infarto miocardico acuto – spiega Palermo -. La mortalità è passata da 4% al 12% perché il sistema del 118 è concentrato sull’emergenza epidemica, i posti di cardiologia sono ridotti e poi i pazienti hanno paura, il dolore toracico se lo tengono e non arrivano in tempo in ospedale. Con i tagli lineari l’equilibrio di bilancio non l’abbiamo ottenuto, i cittadini hanno pagato con la desertificazione degli ospedali e con un peggioramento della loro salute. Non possiamo più accettare commissari incompetenti in un settore così delicato».

SE L’INDICE VA RIVISTO in senso peggiorativo, qual è la conseguenza? «Invece delle chiusure modulate – conclude Palermo – avrei preferito un provvedimento più severo preso prima, quando i contagi erano esponenziali. Le misure di distanziamento personale vanno mantenute perché la situazione non è tranquilla, se facciamo come d’estate arriverà la terza onda. Invece dobbiamo allentare la pressione sugli ospedali: siamo ben oltre la soglia di occupazione dei posti accettabile».