La storia lesbica ha molto da insegnare a tutte e tutti. La prima cosa che insegna è che il silenzio e la cancellazione sono dispositivi di repressione e per di più insidiosi. Non riconoscere l’esistenza, il vissuto, il punto di vista delle lesbiche non è distrazione o negligenza, è una forma di ostilità a cui si risponde con il linguaggio, con la presa di parola pubblica che fa breccia e apre spazi per creare legami e movimento. L’emersione imprevista. Il movimento delle lesbiche in Italia negli anni ’70 e ’80 (Ets, pp. 298, euro 24) di Elena Biagini racconta la storia di chi lottò contro il silenzio e diede corpo e codici a un nuovo soggetto politico. Il libro, che nasce da una tesi di dottorato, scrive a sua volta una pagina di storia militante perché fare archivio, raccogliere vissuti e documenti e trasmetterli come eredità al presente e al futuro è parte della lotta contro il silenzio.
Per esempio, è bene che si ricordi ancora che l’8 marzo 1972 Mariasilvia Spolato, attiva nel Fuori! e nel collettivo femminista di Pompeo Magno, scese in piazza Navona a Roma sollevando da sola il cartello «Liberazione omosessuale» e che questo atto, «il primo atto di visibilità omosessuale in una piazza italiana», immortalato e diffuso sulle pagine di Panorama, le costò il posto di lavoro come insegnante nella scuola pubblica. Perché, come recita uno slogan oggi in voga, «la lotta è fica» ma può essere anche molto costosa e dolorosa.
L’emersione imprevista è un libro di storia politica scritto da dentro il movimento e riccamente documentato dallo scandaglio di archivi pubblici o privati sparsi per l’Italia; ma non solo, dà parola e presenza a molte vite, quando possibile narrate attraverso le testimonianze dirette di protagoniste dei gruppi femministi, omosessuali, lesbici degli anni Settanta e Ottanta.
Il titolo scelto da Biagini allude a quel «soggetto imprevisto» che per Carla Lonzi era il soggetto femminista, capace di irrompere nella storia con uno scarto totale, sputando su Hegel e sulla dialettica servo-padrone per aprire un orizzonte di liberazione. La storia del movimento lesbico è infatti legata tanto a quella della comunità omosessuale quanto al femminismo poiché, come sottolinea Teresa De Lauretis, citata dall’autrice: «è attraverso il femminismo che l’identità lesbica può essere assunta, farsi discorso e articolarsi in concetto politico. Ma si dovrebbe anche aggiungere nonostante il femminismo. Ossia, il pensiero lesbico si è venuto affermando assieme ma anche in contrappunto alla critica femminista del discorso occidentale su amore e sessualità, e in particolare alla rilettura della psicoanalisi come teoria della sessualità e della differenza sessuale». Infatti, sottolinea Biagini prendendo posizione, il lesbismo politico ha dato un contributo fondamentale alla denaturalizzazione del genere e della sessualità mostrando che «la» donna non esiste e che l’eterosessualità come norma è un’ideologia repressiva.
Poiché la storia riguarda tanto le cose quanto le parole, dal racconto di Biagini emerge, talvolta in modo un po’ farraginoso, il processo di costruzione di una collettività che riconosce esperienze comuni, un comune avversario sociale (l’eteropatriarcato) e diversi strumenti d’azione provando a costruire un linguaggio condiviso. Non sempre ciò è stato ed è semplice. Esilarante ed eloquente è l’episodio di un seminario sul sadomasochismo dell’81 che sconvolse chi si aspettava un approccio metaforico e si trovò di fronte ad adepte del Bdsm. In tale processo si manifestano, allora come oggi, differenze nel modo di dirsi (donne omosessuali, donne gay, lesbiche, lesbofemministe equivalgono a posizionamenti nel tempo e nello spazio politico) e di rapportarsi con alcuni concetti (il separatismo, la/e differenza/e) che tracciano le coordinate di una soggettività politica ma permettono anche di comporre o escludere alleanze.