La quarta udienza del processo a carico di 17 giornalisti e impiegati del quotidiano di opposizione turco Cumhuriyet si era aperta con un’immagine di speranza. L’artista Tarik Tolunay aveva racchiuso in una vignetta il bacio che il giornalista Ahmet Sik è riuscito a dare alla moglie.

La conclusione ha cancellato le aspettative: i cinque ancora in carcere (tra loro il direttore Murat Sabuncu e l’amministratore delegato Akin Atalay) non saranno scarcerati come chiesto dalla difesa. L’accusa, per tutti loro, è di aver cooperato con organizzazioni terroristiche, pur non facendone parte: il Pkk, il movimento di estrema sinistra Dhkp-C e quello islamista dell’imam Gülen.

Nomi che da soli fanno capire quanto la loro persecuzione sia politica, parte della campagna epurativa che il presidente Erdogan ha lanciato dopo il tentato golpe del luglio 2016: difficile accomunare gruppi con ideologie politiche tanto distanti.

Il processo è stato aggiornato al 25 e 26 dicembre. Altri due mesi in prigione che si aggiungono ai 12 già trascorsi dietro le sbarre e per i quali nei giorni scorsi sono scesi in piazza centinaia di turchi: a Istanbul hanno chiesto la liberazione di tutti i giornalisti in carcere, oltre 170, un numero che fa della Turchia primo paese al mondo per reporter in cella.