Il 17 luglio 2014 l’Italia ha respinto la richiesta di estradizione nei confronti dell’ex tenente colonello Carlos Luis Malatto.
In Argentina il militare è sotto processo per aver preso parte alla repressione durante la dittatura, in particolare deve rispondere al sequestro, tortura e desaparición di Oscar Alfredo Acosta e sua moglie Virginia, Marta Sarof de Leroux, Margarita Camus, Alberto Carvajal, Guillermo Gulbert, Fernando Mot, Adolfo Andino y Vicente Mazzitelli.

Ma ci sono altri delitti di lesa umanità rimasti sospesi dalle leggi che fino dieci anni fa avevano interrotto i processi.
Mercoledì 15 ottobre, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni di tale decisione. Benché la Corte riconosca «la ferocia del regime instaurato in Argentina a seguito del golpe militare del marzo 1976» e dei metodi «criminali utilizzando corpi dell’esercito organizzati in bande che agivano nell’anonimato e nell’illegalità, con il compito di eliminare fisicamente i dissidenti o presunti tali», ha ritenuto che «non ci siano elementi concreti in ordine al coinvolgimento del Malatto». Quindi, conclude la Corte, non emergono «elementi di accusa che rendano probabile che l’estradato abbia commesso il reato attribuitogli».

Dunque i magistrati italiani, dichiarano che non ci sono prove sufficienti per sottoporlo a giudizio. Come è noto, nei casi di estradizione, il paese a cui è richiesta, non dovrebbe entrare nel merito dell’indagine preliminare che ha deciso l’apertura del processo, ma si dovrebbe limitare a verificare l’esistenza di condizioni per l’attuazione di un processo equo. Evidentemente non è così in Italia. Malatto era stato arrestato in Argentina, ma il 27 agosto 2011 riuscì a fuggire e radicarsi in Italia.

La Corte ha accolto il ricorso di Augusto Sinagra, legale di Malatto, ribaltando in modo definitivo la sentenza emessa dalla Corte d’Appello dell’Aquila che aveva invece concesso l’estradizione. Forse l’intervento di Sinagra è stato decisivo. L’avvocato, iscritto alla «disciolta» Logia Massonica P2, già noto per essere stato il primo avvocato di Licio Gelli quando scoppiò il caso nel 1981 e legale di Erich Priebke, ha convinto la Corte dell’inappropriata pretesa del governo argentino.

Le denunce contro Malatto non sono poche e tutte vincolate agli anni della dittatura, quando nella provincia di San Juan era noto per il suo lavoro d’intelligence realizzato insieme l’ex maggiore Jorge Olivera.
La simbiosi tra i camerati arrivò al punto che venissero chiamati Malavera, unendo entrambi i cognomi. Un destino parallelo visto che Jorge Olivera, anche lui P2, era stato arrestato a Fiumicino nell’estate del 2000 per ordine della magistratura francese che voleva processarlo per la desaparición de Marie Anne Erize. In questa occasione la Camera d’Appello di Roma ha ritenuto che non ci fossero gli estremi per concedere l’estradizione e, grazie ad un fax, rilevatosi poi palesemente falso, ha accettato il ricorso presentato dal suo avvocato, Augusto Sinagra, e rispedito a Buenos Aires. Nel 2013 Olivera è stato condannato all’ergastolo, ma trascorso qualche mese è riuscito fuggire.

Dopo queste evasioni e connivenze, sono 61 i militari profughi, si presume l’esistenza di una rete internazionale di aiuto per i repressori accusati o condannati per crimini durante la dittatura. Come è stato accertato la «disciolta» P2 è stata sempre saldamente radicata in due paesi: Italia e Argentina.
A proposito di connivenze, Malatto è ora ospite a Genova della Congregazione San Giacomo Apostolo di Cornigliano alle spalle della Chiesa dei padri Scolopi.

Del resto il generale Jorge Videla, capo della giunta militare, prima di morire in prigione ha dichiarato: «Il mio rapporto con la Chiesa è stato eccellente. Questo rapporto di collaborazione e amicizia non è mai venuto meno».

La scorsa settimana Malatto ha concesso un’intervista al Corriere della Sera corredata da una fotografia dove lo si vede: una persona mite vestita modestamente. Erano anni che gli inquirenti cercavano una sua immagine, attento a non farsi fotografare, non voleva avere problemi. Oggi nel nostro bel Paese si sente al sicuro.