Negare l’esistenza delle camere a gas e della Shoah potrebbe diventare un reato punibile anche in Italia. Il negazionismo, considerato alla stregua dell’apologia del genocidio, d’ora in poi potrebbe essere combattuto anche attraverso la legge. Questo almeno l’auspicio del ddl che la commissione Giustizia del Senato avrebbe voluto approvare ieri ma che è stato rinviato all’analisi dall’Aula per iniziativa dei senatori del Movimento 5 Stelle, proprio mentre montavano le proteste sul caso di Erich Priebke. Se la nuova norma passasse in Parlamento, il nostro Paese si aggiungerebbe a quanti, dapprima in Europa quindi nel resto del mondo – dalla Francia al Canada passando per Austria, Belgio, Germania, Svezia, diversi paesi dell’Europa dell’Est tra cui Polonia e Romania, e l’Australia –, hanno scelto di varare leggi ad hoc per fare fronte all’offensiva negazionista scatenata dalla destra radicale, specie nel corso degli ultimi decenni.

Così, in Francia, la legge contro i negatori dell’Olocausto che porta il nome del parlamentare comunista Jean Claude Gayssot, fu varata nel 1990 per far fronte alla vera e propria strategia revisionista inaugurata già negli anni Ottanta dagli scritti di un docente di letteratura dell’Università di Lione che si era improvvisato storico – ed è finito ad ingrossare le fila degli ideologi della destra radicale –, Robert Faurisson, ma che è stata alimentata anche dalle continue derive verbali del leader del Front National, Jean Marie Le Pen, che solo nel 1987 si era chiesto pubblicamente se le camere a gas fossero esistite o meno e le aveva in ogni caso definite come «un dettaglio della Seconda guerra mondiale». Parole che proprio in base alla loi Gayssot gli sono valse una condanna e una multa, all’epoca, di più di un milione di franchi.

Allo stesso modo, in altri Paesi, le leggi contro il negazionismo sono state utilizzate per colpire quei gruppi e movimenti neonazisti che erano spesso sfuggiti alla legislazione – simile a quella italiana, la cosiddetta Legge Scelba – che colpisce “la ricostruzione” dei partiti fascisti d’anteguerra. È questo ad esempio il caso della Germania, Paese che si è dotato di una simile norma già nel 1985, e dove importanti esponenti della galassia bruna come l’ex ufficiale nazista Otto Ernst Remer sono stati condannati e i vertici del Nationaldemokratische Partei Deutschland, Npd, la maggiore formazione elettorale dell’ultradestra, sono stati decimati l’uno dopo l’altro: prima Günter Deckert e quindi Udo Voigt, vale a dire i leader del partito negli ultimi trent’anni.

I negazionisti denunciano queste norme come altrettanti attentati alla libertà d’opinione e di ricerca storica e, come ha fatto Erich Priebke nel suo “testamento politico”, chiamano in causa “i poteri forti” che sarebbero loro avversi.

La verità è che il negazionismo si è trasformato nel corso del tempo nell’ultima frontiera dell’estrema destra, quella più radicale e apertamente nostalgica che ritiene che la riabilitazione postuma del nazismo e dei suoi alleati potrebbe aprire la strada a una sorta di riedizione di quei terribili fenomeni. Anche se, sulla sua strada, questa strategia ha incontrato degli alleati nuovi e a prima vista insospettabili.

Già nell’immediato dopoguerra alcuni ex nazisti e fascisti, come il francese Maurice Bardèche, più tardi l’avrebbe fatto anche il belga Leon Degrelle, al pari degli imputati del processo di Norimberga, provarono a negare o a ridurre le responsabilità del Terzo Reich nella Soluzione finale. L’offensiva avrebbe però conosciuto la sua massima diffusione solo molto più tardi, negli anni ’80 e ’90, supportata dal risveglio dell’estrema destra sopraggiunto nel frattempo grazie alle campagne contro gli immigrati.

In Francia personaggi come Robert Faurisson e Henri Roques, gli ex sessantottini Pierre Guillaume e Serge Thion – questi ultimi in una perversione terrificante della critica alle democrazie vincitrici della Seconda guerra mondiale e all’Urss di Stalin -, e più tardi l’ex comunista convertito all’Islam Roger Garaudy, in Germania l’ex Ss Thies Christophersen, autore di un libro che si intitolava La menzogna di Auschwitz, negli Stati Uniti diversi autori legati all’Institute of Historical Review, Ihr, e più di recente all’ex capo del Ku Klux Klan David Duke, il canadese Ernst Zündel e l’inglese David Irving e, nel nostro paese, soprattutto Carlo Mattogno, che ha pubblicato i suoi testi presso le Edizioni di Ar di Franco Freda e il circuito della rivista milanese L’Uomo libero hanno costituito una sorta di network che replica spesso in continuazione gli stessi testi e le medesime tesi.

Posizioni a cui è andato il sostegno dei gruppi organizzati dell’estrema destra, dal British National Party ad Alba Dorata, passando, nel nostro Paese, per il Movimento Politico prima e Militia poi. Negli ultimi anni, in Italia, a pubblicare i testi di Faurisson ci ha pensato poi il quotidiano Rinascita diretto da un neofascista degli anni ’70, Ugo Gaudenzi.

Al composito circuito dell’estrema destra, nell’ultimo decennio si è infine aggiunto il negazionismo di matrice islamica, utilizzato in una chiara chiave anti-israeliana. Importanti kermesse internazionali, con ospiti del circuito neonazista occidentale, si sono svolti a Beirut e a Teheran, mentre l’ex premier iraniano Ahmadinejad è arrivato a definire l’Olocausto come “un’invenzione” davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite.