Che sia criminale respingerli non ci piove. Altrettanto scontata dovrebbe essere la consegna di una medaglia al ragazzo sudanese che ha percorso a piedi il tunnel sotto la Manica. La realtà è un’altra. Abdul Rahman Haroun è in carcere. L’urlo del papa invece spettina appena un po’ i notiziari che nel raccontare l’ennesima strage mediterranea hanno lo stesso impatto del ronzio di una mosca in un afoso pomeriggio d’agosto. Ma c’è poco da assuefarsi: il ripetersi di tragedie simili cancella in un lampo il sollievo per le tante altre evitate.

Pur avendo ben chiara la portata dei fenomeni in atto e l’obliquità delle responsabilità, in tutto questo tempo non si è riusciti a creare neanche un dannato corridoio umanitario. Spiace dirlo nelle ore in cui a chiamarsi l’applauso è l’impegno dei soccorritori. È per le politiche migratorie europee che sono costretti a svuotare con un cucchiaino quel mare di sofferenze, se l’unica accoglienza possibile è a denti stretti e con le mascherine bene in vista.

I migranti sono sempre più vicini e sempre più ricacciati indietro da logiche paranoiche che rispettano le merci e la loro libera circolazione, ma non le persone e il loro sacrosanto diritto a muoversi. Non considerando l’imperativo di doversi muovere, spesso per sopravvivere, un castigo già di per sé sufficiente. E negandogli da ultima la libertà di versare i loro risparmi nel conto di una compagnia aerea, anziché nelle tasche dei trafficanti.

Chiusi nel fondo di una stiva o tenuti aldilà del filo spinato, cambia poco. Meglio sarebbe essere chiari e dire che il reato di immigrazione clandestina non solo resiste negli ordinamenti, ma prevede per molti anche la pena di morte.