Ora che l’accordo tra l’ex «stato canaglia» e il mondo è diventato realtà, il contenzioso per il programma nucleare iraniano sembra quasi si trattasse di un malinteso. L’Iran non è più come la Corea del Nord. Dopo 34 anni, il regime degli ayatollah viene riconosciuto come interlocutore credibile in politica estera, cancellando i timori dell’esportabilità del modello della Repubblica islamica. Questa è una grande vittoria per i tecnocrati iraniani, Hashemi Rafsanjani e Hassan Rohani, che sono riusciti dove i riformisti hanno fallito. Non solo, chiarisce quanto la durezza di Ahmadinejad, da una parte, e la politica estera di George Bush, dall’altra, abbiano allontanato un’intesa che poteva essere raggiunta già nel 2004.

Una folla in festa ha accolto il ministro degli Esteri Javad Zarif, all’aeroporto di Mehrabad a Tehran. «Ambasciatore di pace», gridavano, cantando: «Né guerra né sanzioni né resa né insulti». L’attesa nella capitale iraniana si era fatta estenuante dopo gli annunci di una possibile intesa, trapelati lo scorso venerdì nella serrata quattro giorni di colloqui dell’hotel Intercontinental di Ginevra. Così la notizia dell’accordo ha rasserenato non poco gli iraniani: «Siamo stati dieci anni inutilmente sotto le sanzioni internazionali», ha ammesso amareggiato il giovane Amir, alle porte del bazar di Tehran. Più pragmatica è apparsa Saba, studentessa 23enne: «Non possiamo aspettarci che dopo questo accordo si attenuino gli effetti della crisi economica».

Eppure Rohani era entusiasta. Ha parlato alla stampa, circondato dai «martiri del nucleare», i familiari degli ingegneri uccisi da attacchi mirati negli ultimi anni. E sembrava più gioioso del giorno della sua elezione a presidente della Repubblica lo scorso giugno. «La nazione iraniana ha mostrato dignità e grandezza. Il primo passo è la conquista della fiducia, il secondo è il diritto ad arricchire l’uranio», ha assicurato. A completare il successo iraniano sono arrivate le parole del capo dell’Agenzia per l’energia atomica in Iran, Ali Akbar Salehi: «abbiamo ottenuto quello che volevano, anche il mantenimento in funzione del reattore di Arak». Non sono mancate neppure le parole di soddisfazione della guida suprema Ali Khamenei. L’anziano leader ha riconosciuto l’«ammirevole» risultato dei negoziatori che può essere la base per «altre intelligenti mosse». Prima di tutto in Siria, ma anche più in generale nelle divisioni tra sciiti e sunniti in Medio oriente e nel controllo dello stretto di Hormuz, aprendo la strada a nuovi incontri con i sauditi, che hanno accolto con timido ottimismo l’accordo.

L’intesa preliminare, suddivisa in tre fasi e della durata di sei mesi, dovrebbe portare alla firma di un documento più generale per chiudere definitivamente il contenzioso nucleare. L’accordo prevede più diffuse ispezioni dell’Agenzia per l’energia atomica internazionale sul territorio iraniano; il riconoscimento del diritto all’arricchimento dell’uranio al 5%, con conversione in ossido dell’uranio già arricchito al 20% e la sospensione di parte delle sanzioni internazionali. In particolare, forse già tra dicembre e gennaio, come sostenuto dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, verranno scongelati i proventi della vendita del petrolio iraniano, per un valore pari a circa 7 miliardi di dollari. Mentre verranno sospese le sanzioni all’industria automobilistica iraniana e alle esportazioni nel settore petrolchimico.

E così l’accordo ha avuto effetti immediati sui mercati finanziari, determinando l’abbassamento dei prezzi del petrolio. A Londra, il prezzo di riferimento del greggio per il mercato europeo ha ceduto il 2,5% scendendo a 108 dollari al barile. Non solo, in seguito all’intesa, la valuta iraniana ha guadagnato circa il 3% sul dollaro.

L’intervento chiave, che ha serrato le fila tra i negoziatori, è venuto dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, uno dei protagonisti nella stesura della bozza di accordo. Tanto che il presidente Vladimir Putin ha ammesso che la posizione russa «ha trovato il sostegno e il riconoscimento della comunità internazionale». In realtà, l’accordo è stato raggiunto anche in seguito a un anno di negoziati segreti paralleli tra emissari statunitensi e iraniani.

E per arrivare alla formulazione finale si è aperta nella giornata dello scorso sabato quella che il viceministro Abbas Araghci ha definito «lotta sulle parole». Gli iraniani volevano che ogni termine venisse negoziato per vari precedenti storici. È noto che la diplomazia iraniana non ha molta fiducia dei negoziatori inglesi e statunitensi che sin dall’Ottocento hanno sempre tentato di manipolare la leadership politica di Tehran. Queste strategie da Grande gioco, descritte nel capolavoro di Hopkirk, provocarono l’ambiguo accordo anglo-persiano, concluso oralmente tra lo shah e il capitano John Malcom. È ora il tempo di verificare che l’accordo di Ginevra non sia un nuovo malinteso.