Se una parte significativa della sinistra latinoamericana, pur invocando una soluzione negoziata alla guerra, tende a sposare le ragioni della Russia contro la «denazificazione dell’Ucraina», l’Esercito zapatista assume, al contrario, una ferma posizione di condanna di tutti i governi in gioco.

I toni sono netti già nell’incipit della dichiarazione diffusa dalla Commissione Sexta e firmata dal subcomandante Moisés e dal SupGaleano: «C’è un aggressore, l’esercito russo. Ci sono interessi dei grandi capitali in gioco, da entrambe le parti. Coloro che ora patiscono i deliri di alcuni e i subdoli calcoli economici di altri sono i popoli di Russia e Ucraina».
È, da sempre, l’opzione dell’Ezln: quella per los de abajo, coloro che stanno in basso e resistono all’«idra capitalista», il drago con le sue tante teste che avanza a un ritmo implacabile distruggendo, al suo passaggio, ogni cosa viva. Ed è in fedeltà a tale opzione che gli zapatisti non sostengono «l’uno o l’altro Stato, ma piuttosto coloro che lottano per la vita contro il sistema». Coloro, cioè, che resistono nel Donbass o che si ribellano in Russia, «arrestati e pestati per aver protestato contro la guerra», uniti, gli uni e gli altri, dal «ripudio dei confini e dei loro Stati Nazione», come pure delle «rispettive oppressioni che cambiano solo bandiera».

DEL RESTO, se durante l’invasione dell’Iraq «nessuno sano di mente pensava che opporsi all’invasione fosse mettersi dalla parte di Saddam Hussein», non troppo diversamente da allora si può adesso gridare: «Né Zelensky né Putin». Ed esigere: «Fuori l’esercito russo dall’Ucraina».
Allo stesso modo, gli zapatisti prendono le distanze dai governi che «si sono allineati da una parte o dall’altra» sulla pura base di «calcoli economici»: per loro «ci sono interventi-invasioni-distruzioni buone», quelle «portate avanti dai loro affini», e «ce ne sono di cattive», quelle «perpetrate dai loro opposti». E una dura accusa è rivolta ai «grandi capitali e ai loro governi “occidentali”», i quali, «rimasti in poltrona a contemplare, e persino incoraggiare, la situazione che si stava deteriorando», ora, dinanzi all’inattesa resistenza dell’Ucraina, iniziano a «emettere fatture per “aiuti” che verranno riscosse in seguito».

Nessun dubbio neppure su chi saranno i vincitori di questa guerra: «le grandi industrie degli armamenti e i grandi capitali», pronti a cogliere «l’opportunità di conquistare, distruggere/ricostruire territori», creando nuovi mercati.
Né gli zapatisti fanno alcuna concessione a quanti – e non sono pochi tra i movimenti di sinistra latinoamericani – sottoscrivono le parole di Putin sulla necessità di «denazificare», in quanto, come «ci dicono le nostre compagne in Russia, le bombe russe, i razzi, le pallottole volano verso gli ucraini senza chiedere le loro opinioni politiche e la lingua che parlano».
La conclusione è chiarissima: se la guerra va avanti, «forse poi non ci sarà nessuno a rendere conto del paesaggio che resterà dopo la battaglia».