L’affluenza ai gazebo, assicurano i leghisti, è molto alta: comunque resteranno aperti anche oggi. A dire la loro sul contratto non sarebbero stati ieri solo gli elettori del Carroccio ma anche parecchi di Fi e di FdI, sempre stando agli allestitori. Tra i soci a cinque stelle, invece, sono stati 44mila su circa 140mila iscritti a votare venerdì nel sondaggio online: risultato non eccezionale. I votanti hanno plebiscitato il contrattone e si può scommettere che identico responso daranno i gazebo verdi. Significa che a questo punto, dopo un lunghissimo tira e molla, i due leader sono obbligati a mettersi d’accordo sull’indicazione di un premier. Non lo hanno ancora fatto. Si vedranno oggi, in luogo e orario imprecisato. Dovrebbe essere la volta buona, avendo in agenda l’incontro con il presidente per domani.

CERTO PERÒ non si può pensare che la coppia si presenti al Quirinale senza aver prima notificato al capo dello Stato cosa proporrà. Il Colle, sulla base degli impegni assunti dai due leader, si aspetta per stasera il nome del prossimo inquilino di palazzo Chigi e poi, domani, almeno qualche prima indicazione sui ministeri chiave dell’Economia e della Difesa.

L’ostacolo palazzo Chigi non è facilmente sormontabile: dal nome del premier dipendono in parte rilevante i rapporti di forza tra i soci contraenti. Salvini la dà per già fatta: «Non saremo né io né Di Maio, come era chiaro dall’inizio». Si tratterà «di una figura dal profilo professionale incontestabile, che vada bene a entrambi e che abbia partecipato alla stesura del programma. Abbiamo idee, ma per rispetto il nome lo facciamo prima al presidente della Repubblica». Se le cose andranno davvero come profetizza il leghista, la ruota si fermerà quasi certamente su Giuseppe Conte, tecnico di area M5S il cui nome circola da giorni.

Probabilmente, però, la sicurezza mostrata dal leader del Carroccio è soprattutto un modo di forzare nella direzione a lui più gradita e conveniente. Perché Luigi Di Maio non ha rinunciato alla meta più ambita.

ANCHE SENZA CONTARE il parere non secondario di Davide Casaleggio, che ripete di sperare in Di Maio prem ier, il capo stellato è ambiguo e sfuggente. Da un lato, più a colpi di battute che di dichiarazioni ufficiali, ripete di aver fatto «un passo indietro». Poi si rimette implicitamente in gioco: «Non so se sarò premier». Senza fare nomi, venerdì sera, un vertice svoltosi ad Aosta tra Di Maio, Casaleggio e Riccardo Fraccaro ha deciso di insistere su un premier politico proveniente dal Movimento. E’ anche questo un modo indiretto per insistere sulla candidatura del leader, essendo in realtà poco credibile che il capo politico del partito figuri nel governo come ministro con un esponente di minor rilievo alla guida.

MA IL DIFFICILE ACCORDO tra i due segretari non è il solo problema. Il nome che porteranno dovrà essere accettato dal presidente, che ha già ricordato che spetta a lui a nominare il capo del governo. In questi giorni Mattarella ha respinto ogni tentazione di trattare sul premier. Fedele alla assoluta correttezza istituzionale che è stata la sua cifra, aspetta che siano le forze politiche a proporre. Ma a decidere su quelle proposte sarà poi lui.

Mattarella è consapevole del fatto che le proposte economiche contenute nel Contratto sono destinate a creare guai a non finire in Europa. Ritene imprescindibile che a capo del governo ci sia una figura di assoluta autorevolezza, in grado di trattare con una Ue che non sarà certo benevola. Se non sarà un politico, dovrà trattarsi di qualcuno che sia riconosciuto e riconoscibile in Europa. Se sarà un politico non potrà trattarsi di una figura di secondo piano, che verrebbe vista come un pupazzo nelle mani dei leader. E’ una carta sulla quale conta Luigi Di Maio, essendo evidente che nessun politico potrebbe vantare credibilità e sostegno parlamentare maggiori del leader del partito di maggioranza relativa. Se anche l’offensiva che ha in programma per oggi dovesse infrangersi contro l’inamovibilità leghista, la sua candidatura tornerebbe in campo ove la «figura professionale incontestabile» su cui scommette Salvini dovesse essere contestata dal Colle.