Ho scoperto la figura di Nawal El Saadawi nel 2012, durante le mie ricerche per Cattive ragazze (Sinnos, 2013), un libro a fumetti, disegnato da Sergio Riccardi e destinato a un pubblico di ragazzi e ragazze, dedicato a quindici figure femminili che si sono battute contro le prigioni del patriarcato. Avevo già scelto buona parte delle protagoniste da un lunghissimo elenco di possibilità, raccolte nel corso del tempo. Eppure sentivo che mancava qualcosa. Quasi tutte le donne che avevo individuato erano europee o americane. In un’opera che si proponeva di rompere con gli stereotipi sulle donne, non rischiavo di confermare un altro stereotipo, cioè che l’emancipazione e la liberazione femminile riguardassero soltanto una parte del mondo? Che nei paesi arabi le donne fossero condannate al silenzio e alla sottomissione? E, invece, non erano state proprio le donne protagoniste delle primavere arabe? Avevo necessità di allargare la mia ricerca ad altri femminismi. Fu così che incontrai Nawal. Divorai la sua autobiografia, Una figlia di Iside (Nutrimenti), una vita segnata fin dall’infanzia dalla ribellione a un Dio che discriminava tra uomini e donne, che cancellava il nome della madre, che premiava gli sfaccendati purché nati con il sesso giusto, che mutilava il corpo delle bambine. Nawal, nelle foto che attraversano buona parte del Novecento, appariva con lo stesso sguardo luminoso e fiero, mai domata, né da bambina, quando metteva in fuga gli spasimanti per continuare a studiare, né da adulta, quando, penna in pugno, combatteva contro il fondamentalismo religioso e il regime di Sadat. Nawal che pagava il prezzo delle sue scelte con il carcere e l’esilio e non si arrendeva. Alla Duke University insegnava Creatività e dissidenza: «Fate obiezioni a tutti, – diceva – a Dio, a vostro padre, al preside». Ed eccola apparirmi nei filmati delle manifestazioni del 2011 in piazza Tahrir. Ancora lei, con i capelli candidi raccolti in due trecce ai lati del viso ricamato dalle rughe, a ottant’anni con le giovani, sempre dalla parte della libertà, delle donne, degli oppressi, a rivendicare che la rivoluzione è possibile ed è ora. Nawal che manda all’aria non uno, ma mille stereotipi: quelli sulle donne, quelli sul mondo arabo, quelli sulla terza età, che si vorrebbe ripiegata sul passato e incapace di guardare al futuro. Avevo trovato la «cattiva ragazza» che cercavo, era la sua storia che avrei raccontato ai miei giovani lettori e lettrici.