È difficile immaginare un mondo senza mappe, eppure la geografia va oltre la sua rappresentazione: deve infatti tenere conto dell’«imprevisto umano». Individui che si spostano per sete di ignoto, per paura, per necessità. E tracciano strade nuove, ogni giorno, secolo dopo secolo. Stabiliscono confini, li oltrepassano, li abbattono per poi magari tornare a sigillarli con muri. Così i nove uomini e le due donne, di cui narra l’Atlante dei grandi esploratori della scrittrice portoghese Isabel Minhós Martins con le illlustrazioni di Bernardo P. Carvalho (uscito in Italia per Donzelli, pp. 128, euro 25), si possono annoverare fra quei viaggiatori incalliti che hanno mandato in confusione le smanie classificatorie del cartografo, antico e moderno.
L’autrice, nata a Lisbona nel 1974, insieme a Carvalho è fra le fondatrici della celebre casa editrice lusitana Planeta Tangerina. Il prossimo sabato sarà ospite al festival di Cagliari Tuttestorie, quest’anno dedicato alle tematiche ambientali.

Nove uomini e due donne famosi per aver setacciato il mondo. Esiste qualche consonanza nelle loro biografie?
La scelta dei personaggi è stata una delle fasi più difficili da affrontare. Ho fatto ricerche approfondite: volevo studiare gli esploratori di ogni epoca e luogo. Il mio piano era di procedere per via di sottrazione. Eliminare i nomi noti, quelli più associati alle storie di violenza e conquista o guidati solo da interessi economici. Poi, sono stata assalita da dubbi: mi sono resa conto che sarebbe stato stimolante, in realtà, mostrare come alcuni di questi viaggiatori fossero spinti da motivazioni diverse. Di volta in volta, le spedizioni riunivano più interessi: diplomatici, militari, economici, scientifici. Tutti imbarcati sullo stesso vascello. Ho cambiato prospettiva e ho incluso nella mia lista anche Darwin e Marco Polo, aggiungendo esploratori che si muovevano non esclusivamente per conoscere altri luoghi. Certo, qualche priorità l’ho data: ciò che mi ha ispirata nella realizzazione del libro è stata la scoperta del naturalista e primo ecologista della storia Alexander von Humboldt, di cui mi sono letteralmente innamorata. Fin dall’inizio, ho posto attenzione alle mie scelte perché non volevo glorificare i maltrattamenti contro altri popoli né il dominio coloniale degli europei. D’altra parte, ho pensato che non avesse senso proporre una storia asettica, evitando gli argomenti scottanti. Così, ho scritto una sorta di introduzione in cui sollevo molti interrogativi (le motivazioni, l’uso ambiguo delle parole «scoperta» o «incontro», la violenza, le donne in viaggio, etc.). Un espediente narrativo per immettere i lettori direttamente nel contesto affinché possano comprendere meglio le controversie associate al tema.

[object Object]

Può raccontarci qualcosa in più sulle due donne esploratrici descritte nel libro?
Per le ragioni che tutti conosciamo, le donne hanno cominciato a viaggiare molto più tardi degli uomini (le stesse ragioni che le hanno portate all’università o a ottenere il diritto di voto di recente, nella storia). Pertanto, a parte i pellegrinaggi di alcune nobili verso luoghi santi, nel Medioevo, raramente lasciavano la terra in cui vivevano o i loro paesi, e tanto meno lo facevano senza accompagnatori. Poi, alcune «diplomatiche» hanno cominciato a scrivere delle loro vite altrove, a volte erano al seguito dei loro mariti e, infine, nel XIX secolo, hanno potuto avventurarsi da sole.
Ho presentato queste due esploratrici anche per dimostrare come, per centinaia di anni, viaggiare fosse proibito alle ragazze. Il libro attraversa varie epoche (a partire dal IV secolo a.C.) e fino al XVIII secolo le donne in giro per il mondo quasi non esistevano.
Jeanne Baret è stata una sorpresa. Sebbene ci siano poche informazioni su di lei (non ha scritto libri, né diari né esiste una corrispondenza epistolare), si sa che possedeva una vasta conoscenza delle piante e una grande esperienza nel raccoglierle. Poi c’è tutta la sua avventura legata al travestimento da maschio… in una barca piena di uomini! Anche il caso di Mary Henrietta Kingsley è particolare: lei era una tipica signora inglese, sempre vestita di nero, con l’ombrello aperto, eppure esplorava una delle zone più selvagge dell’Africa. E il tutto sfoggiando un meraviglioso senso dell’umorismo.

Cosa associa all’idea di viaggiare, oggi, nel mondo contemporaneo?
Il turismo di massa ha ovviamente anche aspetti positivi: i nostri orizzonti si sono allargati, ma trascina con sé molte criticità: l’impatto sui luoghi, la gentrificazione, le questioni ambientali… Oltretutto, poiché le persone dispongono di un tempo ristretto per le loro vacanze (e hanno pure poca pazienza, poca resistenza al disagio, a volte poca curiosità) finiscono per viaggiare in modo assurdo, solo per mettere una «croce» su posti ambiti dal turismo, scattano un selfie e passano oltre. E, naturalmente, guardano in anticipo, su Internet, i paesi dove andranno. È l’opposto del viaggio, nel senso più antico.
Lei lavora spesso con Bernardo P. Carvalho, illustratore e co-fondatore della casa editrice Planeta Tangerina. Come si svolge la collaborazione?
Bernardo è un grande artista. Adoro lavorare con lui e nutro una fiducia sconfinata in lui. Quando iniziamo insieme un nuovo progetto, so che sperimenterà molte tecniche e soluzioni fino a quando non troverà quella giusta, adatta a quell’albo specifico. E so che non cederà alla tentazione di scegliere la più comoda, sicura o ovvia. È un vero viaggiatore, Bernardo. Ci conosciamo da 14 o 15 anni. Abbiamo frequentato la stessa scuola superiore e poi entrambi abbiamo studiato alla Facoltà di belle arti di Lisbona. In principio, curavamo un settimanale per bambini e, successivamente, ci siamo addentrati nell’avventura dei libri illustrati con Madalena (Matoso), João (Abreu) e il resto del gruppo che si è unito a noi.

Può dirci qualcosa sulla situazione dell’editoria per bambini in Portogallo e, in generale, nei paesi della cultura lusitana?
Negli ultimi anni, in Portogallo, si sono verificati due fenomeni interessanti. In primo luogo, la concentrazione di piccoli / medi editori in due o tre grandi gruppi editoriali, associata anche alla pubblicazione di libri; in secondo luogo, l’emergere di una piccola editoria indipendente che si è affermata scommettendo sulla qualità. Da noi, la generazione più recente di illustratori è in grado di esprimere una qualità molto alta. Una cosa è certa: se in passato un ottimo libro, pubblicato in un altro paese impiegava 10 o 20 anni per raggiungere il Portogallo, oggi è tutto più veloce. Nella sezione per bambini delle librerie, possiamo attingere al meglio proveniente da qualsiasi paese, sia per quanto riguarda gli albi illustrati, sia per l’energica produzione nazionale.
Esistono strategie per diffondere l’abitudine alla lettura nella generazione digitale?
Alcune idee: creare un tempo di lettura libero (e divertente) durante l’orario di insegnamento. Per esempio, si può andare in biblioteca o portarsi un libro da casa per leggere, senza valutazioni o domande dei professori. Altro punto: non interferire con le scelte dei più giovani, lasciare che si avvicinino agli autori e ai temi che preferiscono. O ancora, fondare club di lettura per condividere gusti e opinioni, incoraggiando gli adulti. Molti genitori e docenti non leggono, quindi è difficile che trasmettano questo piacere ai più piccoli. Ogni adolescente, poi, è un caso a sé e chi lavora per promuovere la lettura dovrebbe sempre tenerne conto.

Ha delle fonti d’ispirazione letterarie, scrittori e scrittrici che ha amato da bambina e poi da adulta?
Molte letture le ho trasferite dall’infanzia a oggi e alcuni autori li ho scoperti solo in età adulta. Mescolando: Sophia de Mello Breyner, Quino, Roald Dahl + Quentin Blake, Wolf Erlbruch, Shel Silverstein… Adoro anche i racconti e le poesie, Lucia Berlin, Alice Munro, Juan Jose Millas, Wislawa Szymborska.