Lo schema è consolidato e fa più o meno così: sbarco, hotspot di Lampedusa, quarantena su una nave, centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr), espulsione. Se sei un cittadino tunisino rischi di trovarti su un aereo che ti riporta a casa in cinque mosse, in meno di un mese. Soprattutto, rischi di non avere possibilità di chiedere asilo. E questo non è un segno di efficienza della macchina dei rimpatri forzati costruita dallo Stato, ma una violazione della Convenzione di Ginevra secondo cui la richiesta di protezione internazionale è un diritto individuale, che non può essere negato in base alla nazionalità.

IN QUESTI GIORNI sulle quarantene galleggianti, che iniziano con il decreto della protezione civile del 12 aprile 2020 e contano ormai su cinque navi, si è alzato un polverone. È venuto fuori che, oltre ai migranti appena sbarcati, a bordo erano stati trasferiti anche alcuni richiedenti asilo positivi al Covid-19 prelevati nottetempo dai centri di accoglienza sulla terraferma (il deputato di LeU Erasmo Palazzotto ha presentato un’interrogazione parlamentare).

LE ESPULSIONI ACCELERATE dei cittadini tunisini aggiungono un nuovo tassello al puzzle di violazioni che ruotano attorno a questo tipo di sorveglianza sanitaria. «Siamo entrati in contatto con una cinquantina di persone che appena scese dalla nave quarantena hanno ricevuto un provvedimento di espulsione o respingimento differito e sono finite nei Cpr di Roma, Milano, Gradisca o Bari. Circa il 90% sono già state espulse. Erano tutte di nazionalità tunisina», afferma Annapaola Ammirati, operatrice sociale del progetto In limine-Asgi. «Nell’hotspot di Lampedusa c’è una pre-identificazione attraverso il cosiddetto “foglio notizie” – spiega Sami Aidoudi, mediatore culturale – Firmano senza sapere di che si tratta, senza avere informazioni sul diritto di chiedere asilo e finiscono per essere considerati automaticamente migranti economici».

SE PRESENTARE domanda di protezione internazionale all’interno dell’hotspot è difficile, una volta saliti sulla nave quarantena è impossibile: l’ufficio immigrazione non c’è. Così mentre i tunisini sono a bordo, le questure a terra preparano i decreti di espulsione che aprono le porte dei Cpr (se c’è spazio). Una volta in detenzione i migranti, se ci riescono, possono chiedere asilo: ma l’iter è di tipo speciale e offre molte meno garanzie. Da un lato il tribunale può ritenere la domanda strumentale a impedire trattenimento ed espulsione. Dall’altro la procedura è accelerata: sette giorni per l’audizione e due per la decisione. In caso di rigetto si può fare ricorso ma la sospensione del rimpatrio non è automatica, come avviene di norma. Anzi, se entro cinque giorni il giudice non si esprime è possibile procedere con l’espulsione.

AI CASI IN CUI L’ACCESSO all’asilo è ostacolato e ristretto si sommano quelli in cui è impedito de facto. «Mi è capitato due volte in meno di una settimana: persone provenienti da navi quarantena, trasferite nel Cpr di Milano e rimpatriate in pochi giorni – dice Nicola Datena, avvocato del foro milanese – Funziona così: all’ingresso nel Cpr vengono tolti i cellulari; i trattenuti possono fare un’unica telefonata; chiamano i familiari che cercano un legale; l’avvocato non ha la procura e non può contattare l’assistito; quando la ottiene va al Cpr ma la persona è già stata espulsa. Sembra un meccanismo rodato».

IL 17 AGOSTO 2020 Italia e Tunisia hanno raggiunto una nuova intesa sul contrasto dei movimenti migratori. I contenuti non sono stati pubblicati integralmente, ma si sa che ha permesso di raddoppiare i rimpatri verso il paese nordafricano: due voli settimanali da 40 persone. È anche in questo meccanismo che vanno inserite le navi quarantena: almeno per i tunisini la funzione non è soltanto sanitaria, ma di controllo ed espulsione. «Funzionano come hotspot galleggianti con l’aggravante che non permettono di chiedere asilo nemmeno a livello teorico – afferma Salvatore Fachile, avvocato di Asgi – Il sistema va oltre le procedure accelerate che l’Ue, con il nuovo patto sulle migrazioni, vuole incrementare lungo le frontiere esterne». Secondo Yasmine Accardo, della campagna LasciateCIEntrare: «Per i tunisini la quarantena sulle navi si è trasformata in una forma di detenzione illegittima in attesa del rimpatrio».