C’è un secondo minore morto in ospedale dopo il trasferimento d’urgenza da una «nave quarantena». O meglio, quello di Abdallah Said è il primo caso in assoluto. Il diciassettenne somalo è deceduto all’ospedale Cannizzaro di Catania il 14 settembre scorso, ventidue giorni prima di Abou Diakite, quindicenne ivoriano che ha perso la vita all’ospedale Ingrassia di Palermo il 5 ottobre.

«Da sotto il lenzuolo del letto di ospedale sporgevano le ossa del bacino. Era pelle e ossa. Una scena agghiacciante e disumana. Volevo vederlo, stingergli la mano per non farlo sentire solo. Ma era già incosciente. Due giorni dopo è morto», la drammatica testimonianza è dell’avvocata Antonia Borrello.

La legale ha ricevuto la nomina a tutrice di Said venerdì 11 settembre ed è andata subito a cercarlo al pronto soccorso di Augusta, dove era stato sbarcato dalla nave quarantena Azzurra, in rada nel porto siciliano dal 29 agosto.

SAID ERA IN QUARANTENA ma non aveva il Covid-19. Era affetto da tubercolosi, probabilmente contratta nei due anni di prigionia in Libia. Di quella malattia portava addosso le piaghe. I risultati dell’autopsia arriveranno il giorno di Natale, al momento si presume sia morto di encefalite, un’infezione del cervello.

Se i medici della nave Azzurra hanno commesso omissioni o negligenze è oggetto delle indagini della procura di Siracusa, partite dall’esposto presentato da Borrello e dall’intervento del tribunale per i minorenni di Catania.

Said ha nome e cognome solo perché uno dei suoi fratelli, residente in Germania, è andato a cercarlo in Sicilia. Sapeva della sua partenza dalla Libia e si preoccupava per la mancanza di notizie. Senza di lui lo avrebbero seppellito in forma anonima e la sua storia sarebbe stata inghiottita in un buco nero, insieme a quella di tanti altri migranti.

LA MORTE DI SAID non aveva avuto finora eco mediatica e non ha spinto le autorità a ripensare la quarantena sulle navi, che per i minori significa anche ritardi nella nomina del tutore (secondo la legge Zampa dovrebbe avvenire entro tre giorni dall’arrivo). L’episodio getta un’ombra in più sul successivo decesso di Diakite, avvenuto in circostanze simili dopo il trasferimento dalla nave Allegra. Si sarebbe potuto evitare? Dopo la morte del quindicenne ivoriano molte associazioni siciliane e il Garante infanzia di Palermo hanno chiesto di non far salire più i minori sulle navi. Anche la Cri era contraria all’imbarco dei ragazzi e ha fatto pressioni. Il Viminale ha dato indicazione di far trascorrere ai minori non accompagnati l’isolamento a terra verso la fine di ottobre.

«Questa informazione circola, ma non ci sono atti ufficiali. Tutto ciò che ruota intorno alle navi quarantena è connotato da una grave mancanza di trasparenza», ha denunciato Sergio Cipolla, presidente della Ong Cooperazione Internazionale Sud Sud. Cipolla è intervenuto in una conferenza stampa organizzata ieri da una coalizione di 150 organizzazioni italiane e internazionali che ha presentato un rapporto sul «sistema navi-quarantena».

Le 14 pagine sono un atto d’accusa duro e circostanziato nei confronti della prassi introdotta dal decreto della protezione civile del 12 aprile in seguito al decreto interministeriale «porti chiusi» di cinque giorni prima. Circa 13mila persone sono transitate sulle imbarcazioni affittate dallo Stato e gestite dalla Cri, mentre al momento solo poche decine sono a bordo (fonte: Cri).

LE «CRITICITÀ» individuate dalle associazioni riguardano tre piani. Sanitario: oltre alle preoccupazioni che l’ambiente delle navi faccia crescere i rischi di contagio invece di ridurli, ci sono quelle per l’acuirsi di pregressi problemi di salute e disagio psicologico. «Il caso più drammatico è di un 22enne tunisino in quarantena sul traghetto Moby Zazà che nella notte del 20 maggio si è gettato in mare e ha perso la vita», si legge nel rapporto.

A livello giuridico sono stati riscontrati profili discriminatori, visto che questa prassi riguarda solo gli stranieri, e di violazione delle procedure d’asilo, in casi documentati da Asgi e Msf. «Il decreto che ha chiuso i porti è stato emanato sulla base di un presupposto che non si è verificato: che i migranti sbarcati avrebbero intasato il sistema sanitario nazionale», ha sottolineato Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritto dell’immigrazione.

Infine, dal punto di vista economico è stato calcolato che ogni migrante a bordo delle navi costa allo Stato 150-200 euro al giorno. «Quattro-cinque volte quanto l’accoglienza a terra. E le stime sono per difetto perché molti atti non si possono consultare», afferma Fausto Melluso, responsabile migrazioni di Arci Sicilia. La richiesta al governo è di mettere fine a questo sistema.