Il regalo del governo Merkel al regime di Al-Sisi poco prima della fine del mandato: tre fregate costruite da Thyssenkrupp Marine Systems a Kiel e 16 batterie antiaeree prodotte da Diehl Defense nel Baden-Württemberg vendute al dittatore del Cairo all’insaputa del Parlamento.

Deflagra a Berlino lo scandalo che investe direttamente Olaf Scholz dieci giorni dopo la sua elezione a cancelliere: come ministro delle Finanze della GroKo era perfettamente informato del business bellico fra Germania ed Egitto eppure si è guardato bene dal rivelarlo ai Verdi che avrebbero bloccato la transazione. «Una mossa calcolata politicamente» denuncia Agnieszka Brugger, deputata dei Grünen, dettagliando il retroscena della vendita a partire dal particolare più clamoroso: l’ex ministro dell’Economia, Peter Altmaier (Cdu), braccio destro di Angela Merkel, ha informato via lettera la presidente del Bundestag, Bärbel Bas, il 7 dicembre, ovvero solo 24 ore prima del giuramento del governo Semaforo.

Insomma «una canagliata» per dirla con le parole della deputata della Linke, Sevim Dagdelen, dato che il governo è obbligato per legge a informare il Bundestag «tempestivamente» su qualunque vendita di armi fuori dai confini tedeschi. Invece a svelare pubblicamente l’affare sottobanco è stato il settimanale Der Spiegel certificando i contratti approvati dal Consiglio federale di sicurezza, di cui oltre a Merkel facevano parte sette ministri compreso Scholz.

UN SEGRETO CUSTODITO dalla GroKo fino alle ultimissime ore della passata legislatura, più che imbarazzante per i due leader dei Verdi al governo: il vice-cancelliere Robert Habeck fa sapere che «si tratta di una decisione del governo precedente, quindi se ne assume la piena responsabilità» mentre la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, delega la replica alla sottosegretaria di Stato Katja Keul: «Non posso immaginare che il nuovo esecutivo avrebbe approvato questa esportazione».

OLTRE ALLE TRE NAVI da guerra modello Meko A-200 destinate alla marina egiziana e il sistema antimissile Iris-T la Germania ha venduto anche un sottomarino del tipo 218-G a Singapore, sempre in barba alla politica neutralista propagandata nelle sedi internazionali. «Non è più possibile parlare di casi eccezionali, le esportazioni di armi tedesche verso questi Paesi ormai sono la regola» sottolinea Simone Wisotzki dell’Istituto di ricerca sulla Pace di Francoforte.

Sul suo tavolo spicca l’ultimo rapporto ufficiale secondo cui l’anno scorso il governo Merkel ha rilasciato licenze per l’export di armi pari a 5,8 miliardi di euro, di cui metà verso Paesi al di fuori della Nato e dell’Ue.

UNO SCANDALO ANZITUTTO ETICO, come specifica Martin Dutzmann, presidente protestante della Conferenza Chiesa e Sviluppo (Gkke): «Le licenze per vendere armi non sono state limitate legalmente né politicamente». E una pratica indecente anche per Karl Jüsten, presidente cattolico della Gkke, che gira il problema a Bruxelles: «Se vuole prendere seriamente la sua politica estera l’Ue vari un regolamento sul controllo delle armi giuridicamente vincolante per tutti gli Stati membri. L’Europa esporta sempre più verso Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi».

DUE MONITI PESANTI per l’ateo Scholz – che nel patto di coalizione ha promesso «una politica restrittiva di esportazione di armi specialmente per chi è coinvolto nella guerra in Yemen» – ma ancora prima per la cristiana Merkel: la Gkke rappresenta un imprescindibile bacino di voti per la Cdu-Csu.

E infatti i cristiano-democratici sono stati costretti a balbettare una giustificazione, ossia che «la Germania ha buone relazioni con l’Egitto e vuole stabilizzare il Paese, senza contare che l’export di armi verso il Cairo era stato già approvato in passato». Mentre l’ex ministro Altmaier nella lettera spedita alla presidente del Bundestag scriveva che era «pronto a informare il Parlamento» se non fosse che poche ore dopo non sarebbe stato più in carica.

Ma che l’Egitto di Al-Sisi, fosse al secondo posto della classifica delle esportazioni di materiale bellico era ben noto ad Altmaier quanto a Merkel, anche perché il business pari a 763,8 milioni di euro aveva sollevato una marea di critiche nel dibattito pubblico sulla guerra in Yemen.