La storia della Haven è la cronaca di una bonifica compiuta (sul relitto, conclusa nel 2008) e di un’altra che invece non c’è stata (sui fondali interessati dallo sversamento). A distanza di 27 anni dal naufragio gran parte del petrolio, oggi diventato catrame, si trova ancora laggiù: è una piaga tangibile per la pesca di fondo, compromessa in un’area molto vasta.

Relativamente alle acque invece l’Arpal non ritiene che ci siano motivi di allarme: «Premesso che non vengono effettuati rilievi specifici sulla Haven, dai risultati delle nostre analisi la qualità dell’acqua nell’area di mare di Cogoleto e Arenzano è in linea con altre zone e non è critica. Ma già dai controlli post bonifica del 2008 la situazione del relitto non evidenziava una sorgente di inquinante – spiega Rosella Bertolotto, responsabile del settore mare – Di più non si poteva fare. C’era chi proponeva una pulitura dei fondali, ma sarebbe stata economicamente irrealizzabile. Inoltre avrebbe creato una movimentazione di inerti forse più dannosa che utile».

Tra chi proponeva la bonifica dei fondali l’Icram. L’istituto per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare oggi confluito nell’Ispra aveva condotto analisi sul campo dal 1991 e redatto un piano di interventi già nel 1999: «I residui di catrame sono una sorgente di molecole nocive capaci di indurre malformazioni, mutazioni e sviluppo di cancro in specie ittiche che vivono in stretta relazione con i fondali, come riscontrato in quelli inquinati dalla Haven rispetto a quanto rilevato in aree limitrofe» afferma ancora oggi Ezio Amato, allora responsabile scientifico degli interventi di monitoraggio e controllo e del piano di bonifica del relitto. Il ricercatore dell’Ispra rivendica quanto fosse necessario procedere innanzitutto con la localizzazione delle aree interessate dal bitume e poi con studi volti a contenerne le conseguenze ambientali: «Avevamo stimato la presenza diffusa di residui di greggio in ampi tratti di fondale, in particolare tra Arenzano e Albissola, sino a circa 700 metri di profondità. Laggiù non ci sono processi di degradazione naturale che possano minimizzare, in tempi ragionevoli, una sorgente di molecole nocive di quelle dimensioni. Ma i fondi stabiliti per legge vennero poi destinati ad altro».

Il disastro della Haven valeva cifre ingenti, anche se per ripulire il mare in proporzione furono impiegati pochi soldi. All’epoca per gli ambientalisti i danni erano quantificabili in 2mila miliardi di lire, 1200 miliardi per il comitato tecnico Iri-Eni. Nel 1998, però, il Fondo internazionale per la compensazione dei danni da idrocarburi assegnò allo Stato italiano in via stragiudiziale solo 117 miliardi. Assolti gli obblighi relativi agli interventi già effettuati, tramite la Regione 62 miliardi vennero trasferiti ai comuni del litorale colpiti dal disastro, nonostante il parere contrario della Corte dei Conti. Quei fondi, svincolati infine nel 2002, interessavano vari filoni d’intervento: dal miglioramento della qualità dell’ambiente marino e delle sue risorse (ad Arenzano fu costruito un depuratore) al potenziamento delle strutture territoriali di controllo (Arpal), fino alla riqualificazione del tratto costiero interessato (persino la realizzazione di passeggiate lungomare). Dei 32 miliardi rimanenti, diventati 16,5 milioni di euro, Icram aveva stimato che 11,6 sarebbero dovuti andare alla bonifica dei fondali. «La Regione aveva affidato tramite gara l’esecuzione dei lavori di bonifica della Haven, contratto poi rescisso con l’azienda assegnataria per inadempienze contrattuali – spiega Ilaria Fasce, dirigente del settore ecosistema costiero e acque della Regione Liguria – A quel punto era intervenuta una prima ordinanza della presidenza del consiglio che trasferiva alla struttura commissariale (la protezione civile, ndr) la bonifica del relitto stesso. Decidemmo così, all’interno del comitato di coordinamento formato da Regione, Arpal e ministero dell’Ambiente, di attendere la bonifica della Haven prima di procedere con un’eventuale piano di caratterizzazione dei fondali». Ma nel 2009, terminati i lavori sul relitto, intervenne una seconda ordinanza della presidenza del consiglio, che trasferì le risorse rimanenti ancora una volta al commissario delegato. I fondi furono attribuiti alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica nell’area dell’azienda chimica Stoppani, nel comune di Cogoleto.
Il risultato è che non solo la bonifica dei fondali non venne mai effettuata, ma non si arrivò nemmeno a disporre una mappatura dettagliata degli stessi. Inoltre non vennero più raccolti dati sui residui di idrocarburi e sulla loro interazione con la fauna marina. Nadia Repetto, che come biologa lavorò a una prima mappatura nel 1992 per Lega Pesca, è convinta che si sia irrimediabilmente persa l’occasione per fare chiarezza: «Il greggio della Haven era di tipologia Iranian Heavy, in cui sono presenti numerosi metalli pesanti che possono concentrarsi nei tessuti di vari organismi marini ed entrare nella catena alimentare.

Quel greggio oggi è disperso su una superficie molto più vasta. Purtroppo tra ripascimenti delle spiagge, scarico di inerti e altre fonti inquinanti sarebbe comunque difficile stabilire un rapporto di causa effetto tra il petrolio della Haven ed eventuali valori anomali riscontrati nei sedimenti o nei tessuti dei pesci».
Il tempo che è passato non è sufficiente ad affermare che quell’autostrada di greggio sui fondali non rappresenti più un potenziale danno per la salute, ma solo a rendere quel pericolo più confuso tra altri e invisibile