E se la richiesta di processare Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti si rivelasse alla fine un vantaggio per l’ex ministro dell’Interno? La possibilità, tutt’altro che remota, circolerebbe nelle teste di molti parlamentari Pd fin da quando la documentazione inviata dal Tribunale dei ministri di Catania è approdata al Senato. A spaventare è soprattutto il calendario. Regolamento alla mano infatti, la Giunta delle immunità parlamentari ha 30 giorni di tempo per dirsi favorevole o contraria al processo nei confronti del leader leghista e la data per il giudizio è stata fissata per il 20 gennaio, una settimana scarsa prima del giorno in cui in Emilia Romagna si apriranno le urne per decidere il nuovo governatore della Regione. Comunque vada, qualunque sarà la decisione presa, Salvini dominerà le prime pagine dei giornali con per di più alle spalle un mese trascorso agitando lo spauracchio dell’immigrazione, tema a lui caro ma che negli ultimi tempi ha dovuto mettere un po’ da parte sia perché di sbarchi ormai non si parla quasi più, sia per i buoni risultati che la ministra Lamorgese, che l’ha sostituito al Viminale, sta ottenendo con i ricollocamenti in Europa. Gli ultimi 132 migranti sono partiti proprio ieri diretti a Berlino, come previsto dal piano di redistribuzione concordato con la Commissione europea.

La campagna a favore di Salvini «difensore dei confini nazionali» comunque è già partita. E punta a dimostrare che quanto affermato nei giorni scorsi dal premier Conte e da Luigi Di Maio, secondo i quali lo stop allo sbarco dei 131 migranti della Gregoretti venne deciso solo dal leghista, non sarebbe vero. La dimostrazione sarebbe negli scambi di notizie avuti dall’ex ministro dell’Interno con la presidenza del consiglio, il ministero degli Esteri, organismi comunitari e, per quanto riguarda la distribuzione di uomini, donne e bambini, anche con esponenti della Conferenza episcopale. Documentazione che Salvini avrebbe conservato e consegnata ai sui legali ma che però, almeno per il momento, non sarà resa pubblica.

Crescono intanto i dubbi su quale potrebbe essere l’esito della Giunta. A conti fatti favorevoli e contrari a concedere l’autorizzazione per il leader leghista si equivalgono: dieci a dieci. Oltre ai sei esponenti grillini, per il processo ci sono l’unico senatore del Pd, Pietro Grasso di LeU, l’ex grillino Gregorio De Falco e il rappresentante delle Autonomie. Contrari i cinque leghisti, quattro senatori di Forza Italia – compreso il presidente della Giunta, Maurizio Gasparri – e uno di Fratelli d’Italia. In attesa di leggere le carte, e quindi di prendere una decisione, i tre senatori di Italia Viva Francesco Bonifazi, Giuseppe Cucca e Nadia Ginetti, che a questo punto rappresentano l’ago della bilancia. «Dal punto di vista umano e politico abbiamo già giudicato Salvini, ma non siamo giustizialisti e non siamo abituati ad utilizzare temi giudiziari per trarre benefici nella lotta politica», ha spiegato ieri il capogruppo di Iv al Senato, Davide Faraone.

Ieri Salvini ha chiesto le dimissioni del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo che questi se è detto convinto che «ci sono i presupposti per dare parere favorevole al processo» per l’ex titolare del Viminale. Una posizione in linea con quanto affermato finora da Di Maio. Ma per quanto compatto, il fronte grillino potrebbe cominciare a mostrare qualche crepa. Ieri il senatore Michele Giarrusso, uno componenti della Giunta, e sembrato a dir poco prudente prima di dirsi favorevole o contrario all’autorizzazione a procedere. «Bisogna prima leggere le carte», ha detto. Una risposta che dovrebbe essere ovvia, ma che contrasta con le certezze mostrate finora da altri esponenti del movimento.