«Più di cento vite a rischio, tra cui 24 donne e 8 bambini»: è stato Alarm Phone ad allertare ieri mattina via social sull’imminente naufragio di un barcone partito dalla Libia. «Comunicazione difficile per segnale debole. Abbiamo chiamato la Guardia costiera appena abbiamo ottenuto posizione Gps. La guardia costiera Libica non risponde», hanno postato gli attivisti sui canali social. E ancora: «Le persone sono in preda al panico. Il motore non funziona e non possono muoversi. Sono vicini alla costa libica. Il Centro di coordinamento di Roma ci ha detto che le cosiddette Guardie costiere libiche sono informate».

Lo specchio d’acqua del Mediterraneo centrale è svuotato quasi totalmente dalle Ong grazie alle politiche dei governi di Italia e Malta, appoggiate dall’Ue. Da Tripoli la Guardia costiera non si è mossa e, nel pomeriggio, hanno cominciato ad affiorare i primi cadaveri. Il barcone si è ribaltato al largo della Tunisia, gli annegati sarebbero una settantina. I pescatori che erano nella zona di Sfax sono riusciti a salvare solo sedici naufraghi. Il gruppo, composto soprattutto da sub-sahariani, era partito giovedì da Zuara, diretto verso l’Italia. Le ricerche sono proseguite fino a sera ma la speranza di trovare altri superstiti era nulla. Non è rimasto che ripescare i cadaveri.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni di stanza in Tunisia ha poi spiegato che la nave affondata ha inviato un segnale di soccorso quando era nelle acque internazionali. Secondo l’Oim, il numero delle persone annegate è tra i 60 e i 70, in base a quanto hanno raccontato quelli che si erano imbarcati con loro sulla costa libica. I sopravvissuti saranno presi in carico dalle autorità tunisine. Tra i sedici scampati all’annegamento, oltre ai subsahariani, ci sarebbero anche profughi provenienti dal Bangladesh e dal Marocco.

Alla fine di aprile, il premier tunisino Chahed Youssef aveva espresso la preoccupazione di un drastico aumento dei «viaggi della disperazione» di migranti in partenza dalla confinante Libia, bloccata in una guerra civile «da cui sembrano esserci via d’uscita»: «Temiamo che si ripeta l’esperienza del 2011, quando assistemmo al massiccio afflusso di profughi verso il nostro paese», aveva spiegato Youssef. Negli ultimi due giorni, i libici hanno intercettato barche con 213 migranti.

«E adesso che sono morti, adesso che un’altra strage è compiuta, vi sentite meglio?» è il post che la piattaforma italiana Mediterranea saving humans ha inviato a Palazzo Chigi e alla Commissione europea, una volta attraccata a Lampedusa con i migranti salvati giovedì e avuto notizia del naufragio. Con la tragedia di Sfax, spiega l’Oim, il numero dei morti e dispersi in mare da inizio anno ha superato quota 500. Nello stesso periodo del 2018, invece, i morti confermati erano 602, di cui 383 sulla rotta tra le coste libiche e la Sicilia. Sono 17mila i migranti e i rifugiati entrati in Europa via mare fino all’8 maggio, in calo di circa il 30% rispetto all’anno scorso.