C’è stato un naufragio nel Mediterraneo centrale di cui non sono ancora chiari i contorni. È avvenuto nella notte tra mercoledì e giovedì, circa 10 miglia a nord della città libica di Zuwara. L’unica informazione ufficiale è quella riferita da fonti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) al giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura giovedì sera: 30 persone sarebbero state soccorse, 6 avrebbero perso la vita, mentre il totale dei migranti a bordo non è precisato. I numeri della tragedia, però, potrebbero essere molto più alti.

Alarm Phone (Ap) ha raccolto quattro diverse testimonianze: un ragazzo che non si è imbarcato, un sopravvissuto e un amico e un parente dei naufraghi. «Siamo stati portati sulla spiaggia in più di 130, provenienti soprattutto da Sudan e Senegal. Sette dal Marocco, quattro dalla Siria, due dal Pakistan e uno dall’Egitto. C’erano anche bambini e donne», racconta dalla Libia Mustafa, un migrante sudanese. È scampato alla tragedia perché sulla barca di legno grigio, lunga circa 12 metri e con uno scompartimento sottocoperta, non c’era spazio per tutti. Così i trafficanti lo hanno riportato indietro insieme ad altre 34 persone.

«Eravamo psicologicamente devastati, ma alle 10 della mattina seguente abbiamo avuto la terribile notizia: la barca si era incendiata e molti erano morti», continua il ragazzo. Secondo la sua ricostruzione sarebbero 49 le persone riportate a terra: 10 in ospedale per le ustioni e le altre nel luogo in mano ai trafficanti. Lì hanno raccontato l’accaduto a Mustafa. Dopo una notte in detenzione sono state liberate. Il manifesto ha potuto leggere la testimonianza completa e contattare direttamente il ragazzo, che a sua volta ci ha fatto parlare telefonicamente con uno dei sopravvissuti. «Sono morte tantissime persone – ha detto ancora sotto shock, in francese – Avevamo chiesto aiuto ma non è venuto nessuno. Per favore salvateci, la Libia è un inferno».

Ap afferma che i numeri riportati da Mustafa coincidono con quelli forniti dalle altre testimonianze. Il centralino ha ricevuto la prima richiesta di aiuto alle 3 di notte, avvisando via mail le autorità di Tripoli, Roma e La Valletta. Un’ora dopo ha comunicato l’Sos alla nave umanitaria Ocean Viking, che si è avvicinata anche se non sarebbe potuta intervenire perché l’evento era in acque territoriali libiche. L’incendio è scoppiato a poppa, vicino al motore. Alcune persone sarebbero morte per le fiamme, altre cadendo in acqua e altre ancora per soffocamento.
Quelli che sono riusciti a domare il fuoco e rimanere a bordo hanno chiesto aiuto fino alle 8 di mattina, fino all’arrivo di alcuni pescatori libici che li hanno finalmente soccorsi. Se le testimonianze saranno confermate i morti potrebbero essere una cinquantina. Sul caso si attendono informazioni ufficiali per capire nei dettagli cosa è accaduto. In genere, dopo i naufragi, le forniscono Unhcr e Oim.

Sempre giovedì mattina si è verificato uno strano episodio nello stesso tratto di mare. La Ocean Viking è stata contattata alle 6.42 dalla motovedetta P-301 della cosiddetta «guardia costiera» di Tripoli, che ha chiesto via radio di assistere 10 persone in viaggio su una barca bianca in vetroresina. Si trovavano a una quarantina di miglia a nord di Zuwara. I libici avrebbero richiesto l’intervento perché alcune persone stavano male e sulla P-301 non c’è personale medico. Un comportamento inusuale. Quando i gommoni di salvataggio si sono avvicinati, con la motovedetta a poca distanza, hanno trovato due donne, due minori e un bambino che vomitavano ripetutamente.

Da una foto diffusa dalla Ong si vede il mezzo sbilanciato di lato, probabilmente perché imbarcava acqua. Le persone, tutte di nazionalità libica, sono state messe al sicuro sui gommoni e portate sulla nave. Prima di concludere l’operazione, però, si è verificato un evento inatteso: un uomo è voluto rimanere sulla barca in vetroresina. Successivamente è stato preso a bordo dalla motovedetta, rientrata in Libia trainando l’altra imbarcazione. Seabird, aereo della Ong Sea-Watch, ha fotografato il trasporto.

La foto scattata da Sea-Bird, via twitter di Sergio Scandura