La marina tunisina ha recuperato ieri 22 cadaveri al largo di Kraten, estremità nord delle isole Kerkenna. Il porto si trova a 45 chilometri dalla città di Sfax e 141 dalle coste di Lampedusa. La notizia è stata diffusa nel tardo pomeriggio dal portavoce del tribunale di Sfax, Mourad Turki, che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. Secondo le autorità tunisine il barcone sarebbe partito nella notte tra il 4 e il 5 giugno e avrebbe trasportato 53 migranti subsahariani.

«Sicuramente il numero dei morti sarà più elevato, ma al momento non si può sapere con esattezza quante persone stavano tentando la traversata – afferma Romdhane Ben Amor, del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftes) – Contestiamo l’attribuzione della provenienza delle persone solo sulla base del loro colore. Esistono anche tunisini con la pelle nera». Il Forum ha rilasciato un duro comunicato che accusa le politiche dell’Unione europea di disumanità e di essere «disposte a tutto pur di ostacolare l’arrivo dei migranti».

L’organizzazione chiede alle autorità tunisine di trattare con dignità i cadaveri delle vittime, assicurando una degna sepoltura e prelevando dei campioni di Dna al fine di inserirli in un database accessibile alle famiglie che cercano i loro cari. «Nel mese di maggio la guardia costiera tunisina ha bloccato 1.243 persone pronte a prendere il mare – continua Ben Amor – Il 68% di origine subsahariana e il 32% tunisini. Numeri così alti non si registravano dal 2011/2012. Se le politiche migratorie europee non cambieranno ci saranno presto nuove stragi».

Con la ripresa del bel tempo le partenze sono ricominciate, come era scontato. Dall’inizio del 2020 sono sbarcati in Italia 5.472 cittadini stranieri (nello stesso periodo nel 2019 erano 2.128 e nel 2018 14.315). Un terzo degli arrivi si sono registrati nel mese di maggio, quando nel Mediterraneo non era presente alcuna imbarcazione umanitaria. Solo recentemente ha ripreso il mare Sea-Watch e proprio ieri sera lo ha fatto anche Mediterranea. «Donne, uomini e bambini annegano perché tentano di scappare da un inferno – dice il capomissione Luca Casarini – Oltre che migranti, oltre che naufraghi, sono anche profughi di guerra e ovviamente persone. Black lives matter, anche nel Mediterraneo».